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28.05.2009 Vita quotidiana a Sderot
Uno dei principali bersagli di razzi dalla Striscia
Testata: Il Riformista
Data: 28 maggio 2009
Pagina: 11
Autore: Alessandra Cardinale
Titolo: «Vivere e (non) morire dove piovono i Qassam»
Riportiamo dal RIFORMISTA di oggi, 28/05/2009, a pag. 11, l'articolo di Alessandra Cardinale dal titolo "Vivere e (non) morire dove piovono i Qassam".
«Se sei per strada e senti una voce metallica che dice Tzevah Adom, Tzevah Adom, devi subito correre a nasconderti nel palazzo più vicino, può essere un negozio, una palestra non importa. Poi ti devi sedere per terra, lontano dalle finestre e mettere le mani sulla testa. Ricordati che per fare tutto questo hai solo 15 secondi, hai capito?».
Moshe si sforza di essere molto chiaro, gesticola con le mani e ogni tanto con l'indice si sistema gli occhiali da vista bene sul naso. «Quindi -dice - stai attenta e non metterti nei guai». Si gira di scatto e si allontana con lo zaino in spalla che a ogni passo saltella su e giù come i lunghi peot che gli arrivano quasi a sfiorare le spalle. Ha fretta perchè deve tornare a casa a fare i compiti. Moshe ha solo 11 anni ma parla e si muove come un adulto. A Sderot lo conoscono tutti perchè è il figlio di Sason Sara, il droghiere della città ma anche lo scrivano che si occupa tra un pacchetto di LM rosse e Parliament light di spedire al ministero dell'edilizia i reclami dei suoi concittadini stufi di aspettare la ricostruzione di palazzi e strade distrutte dai razzi Qassam che da otto anni Hamas lancia da Gaza.
La guerra, quella coperta dai media fino al 20 gennaio scorso, è finita. Quella reale però continua: ogni tre o quattro settimane parte un razzo diretto verso le aree di Sderot o Ashkelon, rispettivamente a uno e dieci chilometri dalla Striscia. Dalla fine di gennaio a oggi si contano solo feriti nessun morto «nessuno sa quando deve morire e come quindi inutile agitarsi».
Yafa Malka fa la parrucchiera «specializzata in tinture bionde». Anche lei, ovviamente, è bionda, truccatissima e con un neo sopra l'angola destro della bocca che la fa sembrare un'attrice americana degli anni '50. Dal ripostiglio urla di seguirla. «Vieni, ti faccio vedere dove mi nascondo quando scatta il codice rosso». È una stanza adibita a magazzino delle tinture e degli shampoo ma che all'occasione diventa un piccolo monolocale barra bunker. Nessuna finestra, che come spiegava il piccolo Moshe sono pericolose, due fornelletti elettrici, una sedia, un divano letto e un paio di ventilatori. «C'è l'essenziale per massimo un paio di giorni nei casi peggiori altrimenti ti consigliano di aspettare 5-10 minuti dall'allarme per riuscire». Nel negozio due signore aspettano impazienti di essere toccate dalle «magiche mani di Yafa» come dice una delle due che viene da Ashkelon per farsi bella «all'inizio avevo paura di guidare fino a qua ma voglio una vita normale o almeno faccio finta di averla. In verità a volte immagino i titoli dei giornali: cinquantenne uccisa da un razzo Qassam mentre andava dal parrucchiere» e scoppiano tutte a ridere. L'altra signora racconta che nella scuola della figlia che si trova poco distante dal negozio di Yafa alcune aule vengono impiegate come rifugio «il preside del liceo le ha volute colorare di azzurro in modo tale che siano riconoscibili dagli studenti che se allo scattare dell'allarme dovessero entrare in panico possono facilmente individuare la stanza giusta».
L'ultimo razzo è stato lanciato il 20 maggio scorso nei giorni in cui il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu era a Washington da Obama. «E non è un caso» spiega Nissim Peretz, il proprietario della casa colpita dal Qassam che ha fatto in tempo a rifugiarsi nella sua "security room". «Saremmo dovuti uscire dalla Striscia solo quando Hamas avesse smesso di lanciare razzi. Ora stiamo pagando gli errori di un governo la cui unica preoccupazione quattro mesi fa erano le elezioni». Nissim racconta anche delle lungaggini dell'esecutivo israeliano nel ricostruire alcuni dei 58 bunker statali che il governo ha messo a disposizione degli abitanti di Sderot ma che a conti fatti sono inagibili.
«Alcuni non hanno elettricità e acqua e in altri le tubature sono scoppiate provocando allagamenti. Quindi meglio costruirselo in caso sacrificando magari la cantina». Nissim non ha voluto aspettare l'intervento del governo per ricostruire la parte danneggiata della casa ma ha fatto da solo con l'aiuto di alcuni amici. La prima cosa che ha rimesso a posto è stata la Hamsa, la mano protettrice che si appende sulla porta di casa che in ebraico recita «nessun angoscia vivrà tra queste mura, nessuna paura passerà attraverso questa porta, nessun conflitto regnerà in questa dimora».
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