lunedì 28 dicembre 2009

LO SCONFINATO ALTRUISMO DI TAIWAN

Taiwan è un paese straordinario e una moderna democrazia. Ha un’economia sviluppata e un settore tecnologico ed elettronico all’avanguardia. Pochi, però, conoscono il suo ruolo nel campo della solidarietà internazionale. Il governo di Taipei conduce un’avanzata politica di sostegno ai paesi in via di sviluppo e di aiuto in occasione di calamità naturali. Purtroppo, le numerose risorse di cui Taiwan dispone in ambito sanitario non possano essere fruite da tutti i paesi del mondo: infatti, molte nazioni ignorano questa potenzialità. Se la spinta propulsiva è governativa, sono numerose le iniziative che provengono da fondazioni o altri organismi privati. Tra le tante ricordiamo la Fondazione Tzu Chi che ha aiutato le vittime dell’uragano Katrina o l’Ospedale Cristiano Pingtung che ha costruito in Malawi un centro per i malati di Aids. Numerosi medici non si limitano a esercitare la propria professione in patria ma scelgono di andare all’estero per portare soccorso ai tanti bisognosi. Ma non solo medici, nel 2006 la modella Chiling Li è stata portavoce di un progetto per aiutare i malati di Aids e i bimbi orfani per colpa dell’Aids. La scelta solidale di Taiwan scaturisce sia dagli aiuti che la nazione orientale ha ricevuto dalla comunità internazionale nei suoi primi anni di vita e che gli hanno consentito di raggiungere i traguardi odierni sia dall’art. 141 della Costituzione che, tra l’altro, afferma che i compiti della politica estera sono anche di promuovere la giustizia internazionale, la cooperazione e la pace nel mondo. Un gesto di gratitudine nei confronti del mondo e un profondo sentimento di solidarietà e giustizia sancito dalla legge suprema dello stato. Il primo atto di quest’azione di cooperazione internazionale accadde nel 1959 quando una squadra di specialisti agricoli fu inviata in Vietnam per sostenere lo sviluppo agricolo. Seguita nel 1960 dall’Operazione Vanguard destinata ad aiutare i paesi africani sempre in campo agricolo. Da allora il cammino si è fatto più spedito e più incisivo. Taiwan ha donato apparecchiature per il funzionamento dei governi di Isole Salomone, Kiribati, Tuvalu, Palau e Nauru. Ha contribuito alle spese finanziarie per i governi di Swaziland, St. Christopher e Nevis, S. Vincent, Grenadine e Belize. Ha aiutato i bambini poveri di Repubblica Dominicana, Haiti, Paraguay e Panama. Ha sostenuto il Burkina Faso nella produzione del liquore Gaoliang e le Isole Salomone nel settore turistico. Ha realizzato progetti idroelettrici in Honduras, Nauru, Nicaragua e Sao Tome e Principe. Ha costruito o riparato aeroporti, autostrade e porti in Gambia, Sao Tome e Principe, Swaziland, Guatemala, Haiti e Nauru. Ha distribuito materiale informativo ed educativo, attrezzature scolastiche in Gambia, Isole Marshall e Guatemala. Ha anche contribuito alla salvaguardia dell’ambiente con una campagna di forestazione nelle Isole Salomone; lo smaltimento di acque inquinate a Palau e di rifiuti a Tuvalu e la lotta alla desertificazione in Honduras. Talvolta, un canale seguito per gli aiuti umanitari è quello della Santa Sede. Colombia, Pakistan e Congo sono alcuni dei paesi che hanno fruito di aiuti tramite questo strumento diplomatico. Un ruolo rilevante è costituito dalla donazione di riso: migliaia di tonnellate ogni anno sono inviate gratuitamente all’estero. Sono state anche istituite borse di studio per consentire ai giovani di proseguire gli studi a Taiwan. Nel 2008, oltre millecinquecento giovani provenienti da tutto il mondo ne hanno fruito. Altre risorse sono destinate alle organizzazioni internazionali che operano a favore dei paesi in via di sviluppo. Un’azione quindi complessa e articolata ma che riesce a raggiungere gli obiettivi prefissati.

Tonino NOCERA
pubblicato da Calabria Ora il 28 dicembre 2009

domenica 6 dicembre 2009

DARFUR

Italian Blogs for Darfur
domenica, dicembre 06, 2009
Appello per sospendere la condanna a morte di sei bambini
di Antonella per Italians for Darfur ONLUS

Un appello per chiedere la sospensione definitiva delle condanna a morte di sei bambini di etnia Fur accusati di far parte del Justice and Equality Movement, uno dei movimenti ribelli più importanti del Darfur. Come appreso dal Sudan Tribune lo scorso novembre, la sentenza non è al momento esecutiva, ma chiediamo che essa venga ufficialmente cancellata.
Anche Articolo 21 e altre associazioni hanno raccolto e rilanciato l’iniziativa promossa da ‘Italians for Darfur’ che continua a denunciare la violazione dei diritti umani in Sudan.
I sei minori, di età compresa tra gli 11 e i 16 anni, sono accusati con altri 150 guerriglieri di aver partecipato all’attacco del 2008 nella capitale sudanese che causò oltre 300 vittime.
Il tribunale di Khartoum ha emesso finora oltre 100 condanne a morte, molte delle quali già eseguite.
Con questo appello chiediamo al Governo sudanese di sospendere la sentenza ma anche di approfondire le responsabilità del coinvolgimento di questi bambini in azioni di guerra.
Va accertato se il Jem, come purtroppo al momento possiamo solo supporre, abbia impiegato bambini soldato nell’attacco a Khartoum e se continui ad arruolare minorenni sottraendoli con la forza alle loro famiglie, negandogli così di vivere l’infanzia e l’adolescenza che gli sono dovute.

domenica 29 novembre 2009

Mahmoud Vahidnia

Ci sono anche alcuni parlamentari calabresi tra i primi firmatari della mozione contro la repressione iraniana presentata da Fiamma Nirestein. Sono Francesco Laratta, Antonino Foti, Francesco Nucara e Angela Napoli. La mozione prende spunto dalla vicenda di Mahmoud Vahidnia, lo studente che lo scorso 28 ottobre ha affrontato l’Ayatollah Ali Khamenei durante un incontro pubblico. La Televisione iraniana ha immediatamente interrotto la diretta proprio durante l’intervento di Vahidnia. Da allora non si sa più nulla del coraggioso giovane. E’ anche esaminata, in maniera più ampia, l’intera vicenda della repressione del dissenso in Iran. Partendo dalle contestazioni alle elezioni presidenziali del 12 giugno 2009, cui seguirono numerose manifestazioni di protesta duramente represse. E’ ancora viva in tutto il mondo il ricordo del volto insanguinato di Neda Agha Soltan, la studentessa di filosofia assassinata durante le manifestazioni. L’Università di Oxford le ha dedicato una borsa di studio; è stato anche creato un sito che informa su quanto accade in Iran http://lavocedineda.iobloggo.com. Dopo cinque mesi non si conosce ancora il numero esatto delle vittime della repressione, degli arrestati e delle persone giustiziate dopo processi farsa. Lo scorso 4 novembre – trentesimo anniversario dell’assalto all’ambasciata americana e del sequestro di 53 ostaggi – i giovani di Teheran sono scesi ancora una volta in piazza. I firmatari, inoltre, invitano il governo italiano a farsi promotore, anche in sede europea, di una politica comune che faccia chiarezza sulle continue violazioni di diritti umani in Iran. Apprezzamento per l’iniziativa di Fiamma Nirestein è stata espressa da Davood Karimi, presidente Associazione Rifugiati Politici Iraniani residenti in Italia. Karimi, ha tra l’altro dichiarato: “Il popolo iraniano non dimenticherà mai coloro che gli sono stati vicini nei momenti più tenebri della sua storia”.

Tonino NOCERA

sabato 20 giugno 2009

PARTIGIANI D' AZERBAJGIAN IN ITALIA

Il legame tra Italia e Azerbajgian è antico. Risale all’Impero Romano, come attesta un’iscrizione latina scoperta sul Monte Beyukdash, a circa 55 chilometri dalla capitale Baku. Città gemellata con Napoli. Sono però pochi i libri dedicati al paese bagnato dal Mar Caspio, pubblicati in Italia. Di recente, è stato stampato presso il Centro Stampa “Toscana Nuova 2” di Firenze “I partigiani azerbajgiani in Italia” della giornalista di Baku, Rugya Alieva. L’opera ha visto la luce grazie al prof. Renato Risaliti che ne ha curato la traduzione. Il prof. Risaliti insegna Storia dell’Europa Orientale presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Firenze. Protagonisti del libro sono dodici azerbajgiani che combatterono in Italia, tra le fila dei partigiani. I luoghi che li videro lottare contro i nazifascisti furono vari: da Pistoia a Bergamo, da Piacenza a Belluno. Quasi tutti si arruolarono nelle Brigate d’Assalto Garibaldi, qualcuno scelse le Fiamme Verdi. Alcuni, dopo la guerra, tornarono in Italia per incontrare i vecchi compagni. Visita ricambiata dai partigiani italiani. Perché - come scrive giustamente Rugya Alieva - la fraternità d’armi è sacra. Qualcuno fu anche ospite del prof. Risaliti, quando era sindaco di Agliana. Bagirov Mamed Samed Ogly voleva creare a Baku un Museo della Resistenza Italiana e aveva cominciato a lavorare in tal senso. La morte gli ha impedito di completare l’opera. Sempre Bagirov Mamed Samed Ogly fu ricevuto dal Presidente della Repubblica Sandro Pertini che gli consegnò il diploma d’onore di combattente partigiano per la libertà d’Italia e la Stella Garibaldina. Molti al rientro in patria subirono un periodo di detenzione presso i campi di “filtraggio”. Catturati dai nazisti prima; a contatto con forze e popoli non sovietici dopo erano considerati a rischio. Perciò Stalin ritenne opportuno sottoporli a un serrato controllo. Un triste destino per chi aveva combattuto per la libertà. Il libro svela uno dei tanti episodi poco noti della Resistenza italiana, confermando il suo carattere di “affresco corale” (per usare un’espressione del prof. Giorgio Spini) che vide coinvolti uomini e donne di tutto il mondo nella lotta contro le barbarie. Infatti, dalla lettura del libro apprendiamo che anche uzbeki e ciuvasci parteciparono alla Resistenza. Analogamente a quanto successe con Giuseppe Garibaldi e suoi garibaldini, tra le cui fila militarono uomini di diverse nazionalità: come ricorda nell’introduzione Renato Risoliti.
Tonino Nocera

martedì 9 giugno 2009

72 PROFESSIONI

Provate a elencare 72 professioni. Fatto? E' difficile vero.
Eppure in Libano sono 72 le professioni proibite ai palestinesi.
Lo scrive Francesca Paci in un suo articolo su La Stampa.
Eppure nessuno accusa il Libano. Tutti tacciono.
Dimenticavo, mica parliamo di Israele e Stati Uniti.
Vedremo nei prossimi giorni in occasione della visita in Italia
di Gheddafi, quanti fra quelli che criticano - sempre e solo - USA e
Israele protesteranno.
Tonino NOCERA

domenica 7 giugno 2009

NOTIZIE DA ULAN BATOR

Lo scorso 25 maggio, Tsakhiagin Elbegdorj è stato eletto Presidente della Mongolia.
Il nuovo presidente, già giornalista negli Stati Uniti e in Ucraina, era stato
Primo Ministro tra il 2004 e il 2006.
Nei giorni precedenti l'elezione presidenziale, Jargalsaikhan Enkhsaikhan ha presentato le credenziali al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
E' il nuovo Ambasciatore della Mongolia presso il nostro paese.
La sua sede è Vienna.
Tonino NOCERA

DA MARE A MARE

A mari usque ad mare è il motto del Canada ed appare sul suo stemma.
Significa dal mare fino al mare ed tratto dal Salmo 72.
Il paese nordamericano non si estende solo dall'Atlantico al Pacifico ma
a Nord confina con il Mar Glaciale Artico.
Dopo Antartide e Groelandia possiede il maggior numero di ghiacciai.
Inoltre, possiede il 20% delle acque dolci al mondo e il 7% di quelle
rinnovabili. I suoi laghi sono più di due milioni: 563 hanno un'estensione
superiore a 100 kilometri quadrati.
Insomma, visto l'estate torrida che si avvicina, sarebbe il caso di fare
un viaggio in Canada.
Tonino NOCERA

AMOS LUZZATTO

Una delle ragioni del mio amore per l'ebraismo è nella premessa di Amos Luzzato
a suo UNA LETTURA EBRAICA DEL CANTICO DEI CANTICI edito da GIUNTINA.
Scrive Luzzatto:

Il testo di questo saggio non si pone pretese scientifiche, ma intende rappresentare un modo (non certo l'unico) con il quale un ebreo (e non certo tutti gli ebrei) affronta e gusta la lettura biblica.

domenica 31 maggio 2009

SANITA' E TAIWAN

Tratto da www.agenziaradicale.com


Un nuovo scenario sanitario mondiale Rendiamo Taiwan parte della soluzione globale
venerdì 29 maggio 2009


di

YEH CHING-CHUAN





Ministro,

Dipartimento della Salute













Repubblica

di Cina (Taiwan)











Con l’attendismo e la flessibile

pazienza tipici della cultura orientale alla fine Taiwan ha ottenuto di venire

ammessa a partecipare ai lavori dell’Assemblea Mondiale della Sanità, sia pure

solo come Membro osservatore e con la dizione di “Taipei Cinese” e non – o non

ancora – come Membro ordinario a tutti gli effetti.













È un importante risultato in quel

processo che normalizzazione tra l’Isola e la Cina continentale, che Agenzia Radicale segue con

interesse, in quanto il metodo del dialogo e della reciproca comprensione, sia

pure a piccoli e progressivi passi, oggi si pone come modello in un’area

geostrategica ancora al centro di gravi tensioni e di velleitarismi

bellicistici.





Riceviamo e pubblichiamo un commento

al riguardo di Yeh Ching-chuan, Ministro della Salute di Taiwan







*****





In Taiwan, gli esperti di medicina e salute pubblica hanno a lungo sognato

il ritorno dell’isola all’interno dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per

contribuire direttamente e in modo efficace allo sforzo della comunità

internazionale per la salute.





Ora questo sogno si è realizzato, dal momento che Taiwan prenderà parte all’Assemblea

Mondiale della Sanità in qualità di membro osservatore con il nome di “Taipei

Cinese”, sforzandosi al pari di ogni altra nazione all’interno di questa

istituzione per promuovere la salute di tutti i popoli.









Agenzia Radicale
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Le pandemie non tengono in considerazione

i confini





In seguito alla continua crescita del commercio globale, del turismo e dei

viaggi d’affari, i confini nazionali diventano sempre più irrilevanti

nell’affrontare le minacce alla salute pubblica, al punto che tutte le nazioni

devono collaborare per il bene comune.





I recenti sforzi volti a tenere sotto controllo i virus influenzali e a

garantire la sicurezza alimentare offrono concreti esempi. Alcuni casi di

influenza aviaria riscontrati tra gli esseri umani si sono verificati in Paesi

vicini a Taiwan, nel novembre 2005. Gli spostamenti transnazionali di uccelli

migratori durante la stagione delle migrazioni hanno aumentato il rischio di

diffusione dell’influenza aviaria, altamente patogena, ben al di là dei suoi

focolai originari, così come è stato dimostrato in alcune ricerche che indicano che gli uccelli

migratori sono, in genere, tra i principali vettori di virus. Ogni anno, circa

1,25 milioni di uccelli, comprendenti 351 specie migratorie, volano verso il

sud dalla Cina continentale, dal Giappone, dalla Corea, verso Taiwan, prima di

continuare in direzione di Filippine, Indonesia, Malaysia e Australia. Essendo

Taiwan un luogo di transito obbligato per gli uccelli migratori, il rischio di

esplosione di influenza aviaria è considerevole.





Una ricerca condotta dal nostro Dicastero indica che, se dovesse

verificarsi un attacco di influenza aviaria trasmissibile da uomo a uomo,

potrebbero risultare infettati fino a 5,3 milioni di persone, con decessi che

si aggirerebbero intorno alle 14.000 unità.





Di conseguenza, ogni anno all’arrivo della stagione delle migrazioni, le

agenzie taiwanesi di salute pubblica entrano in stato di allerta per prevenire

il manifestarsi della malattia sull’isola. Fortunatamente, fino ad oggi, Taiwan

non ha ancora sperimentato alcuno scoppio di influenza aviaria, nè ha

registrato alcun caso di decesso connesso alla malattia.





Una prevenzione efficace dell’influenza aviaria richiede un lavoro

d’insieme da parte dei vari Paesi, comprensivo di una corretta comunicazione

per monitorare lo stato dell’epidemia e il livello di diffusione dei casi.





Chiaramente, la condivisione tra Paesi delle informazioni sullo stato della

trasmissione del virus e l’assistenza tecnica internazionale sono enormemente

importanti per la prevenzione di una pandemia globale.





Allo stesso modo, c’è urgente bisogno di cooperazione e di interscambio di

informazioni tra i vari Paesi per contrastare la diffusione del nuovo virus

H1N1. Quale membro della comunità internazionale, Taiwan parteciperà

accuratamente nello sforzo internazionale di prevenzione della pandemia.

Scambierà informazioni con ogni Paese, si impegnerà congiuntamente ad essi

nell’ostcolare la trasmissione della malattia, lavorerà attivamente alla

preparazione e allo sviluppo di un vaccino e immagazzinerà materiali per il

trattamento medico pertinenti ad affrontare qualsiasi potenziale scoppio

pandemico. E quando necessario, Taiwan offrirà il suo aiuto per assistere altri

Paesi nella prevenzione delle malattie, fornendo le risorse per le cure necessarie

e lavorando di pari passo con il resto del mondo per resistere alle incursioni

del virus influenzale.





L’altro esempio riguarda la sicurezza alimentare globale, che rappresenta

un problema sempre più serio. Mezzi di trasporto rapidi e tecniche di conservazione

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avanzate permettono a varie tipologie di cibi di trascendere le limitazioni

derivanti dalle distanze geografiche e di essere consumati in qualunque parte

del mondo.





I prodotti alimentari ora circolano ampiamente e i loro ingredienti possono

provenire da qualsivoglia luogo. E’ quindi sempre più difficile tenere sotto

controllo la sicurezza alimentare, dal momento che vi è una crescente varietà

di origini degli ingredienti. Soltanto una rapida circolazione di informazioni

dettagliate e una serrata cooperazione interfrontaliera nel monitorare e

controllare tali alimenti permette ad ogni Paese di tenersi al passo con la

situazione sanitaria per ogni tipo di cibo, e, nel momento in cui una minaccia

viene alla luce, di tracciare il percorso di ogni alimento contaminato dalla sua

partenza alla sua destinazione.





La Moderna organizzazione per la tutela della sicurezza del cibo è

differente dagli approcci tradizionali – La prevenzione richiede operazioni

concordate tra i Paesi.





Come gli altri Paesi, Taiwan deve confrontarsi con questi importanti

argomenti connessi alla salute pubblica. Affrontando le sfide di un mondo

globalizzato, Taiwan sarà in grado di partecipare egregiamente alle attività

dell’OMS. Unendosi al sistema sanitario internazionale, la Repubblica di Cina

(Taiwan) assicurerà la salute e la sicurezza di 23 milioni di Taiwanesi.











I Contributi che Taiwan può offrire

alla sanità mondiale





All’interno di una rapida crescita economica, Taiwan ha realizzato un

eccezionale sistema sanitario. L’Economist Intelligence Unit ha classificato

Taiwan al secondo posto nel mondo in termini di performance del sistema

sanitario, sottolineando gli ottimi risultati dell’isola. Dal ventesimo secolo

ad oggi, Taiwan ha raggiunto diversi obiettivi eccellenti, quali l’eliminazione

del vaiolo, del colera, della malaria e della poliomelite, l’estensione globale

del vaccino contro l’epatite B e il lancio di un programma di assicurazione

sanitaria universale.





Il ritorno di Taiwan nel sistema internazionale, derivante dall’opportunità

offertaci di partecipare all’Assemblea Mondiale della Sanità nel ruolo di

osservatori, ci permetterà di condividere la nostra esperienza con gli altri

Paesi e di contribuire alla salute della popolazione mondiale.





Taiwan ha dimostrato le proprie capacità con i risultati ottenuti nella

lotta alla malaria nel Sao Tomé e Principe, ed ha creato dei Taiwan Health Centers nelle Isole

Salomone e nelle Isole Marshall, per offrire cure mediche e servizi sanitari

pubblici.





Taiwan è oltremodo desiderosa di aiutare gli altri Paesi nella risoluzione

delle problematiche connesse alla professione medica, quali ad esempio la

pianificazione di un network sanitario, la prevenzione e il trattamento delle

malattie infettive, l’assicurazione sanitaria, la ricerca, il soccorso medico,

così come la prevenzione dai rischi del fumo. Noi faremo qualunque cosa in

nostro potere per contribuire alla crescita della comunità internazionale e per

migliorare la salute della popolazione mondiale.



Agenzia Radicale
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Conclusione





La comunità internazionale ha positivamente ha riconosciuto questa

attitudine pragmatica e flessibile, accogliendo Taiwan quale membro osservatore

dell’Assemblea Mondiale della Sanità, quest’anno.





La partecipazione di Taiwan nell’OMS sarà un grande passo avanti per i

diritti umani connessi con la salute globale, e cancellerà l’ultimo gap esistente nel network della

sicurezza sanitaria internazionale.





Noi speriamo di raggiungere una sempre maggiore partecipazione agli eventi,

ai meccanismi e ai incontri che caratterizzeranno il futuro dell’OMS, e

attendiamo con ansia di mettere in pratica la nostre competenze, contribuendo

così in maniera significativa alla sanità internazionale.





Taiwan è pronta a condividere con il mondo la sua esperienza e i traguardi

fino ad ora raggiunti nel settore sanitario, e si ripromette che nel prossimo

futuro seguirà attivamente ogni politica dell’OMS, prenderà parte agli eventi

di questa istituzione e farà del suo meglio per dare il proprio contributo.









Agenzia Radicale
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venerdì 29 maggio 2009

Azerbaigian e Israele

E’ cominciato a Tel-Aviv il business forum Israele – Azerbaigian. E’ prevista la stipula dell’Accordo sulla cooperazione fra l’Istituto israeliano dell’Export e della Cooperazione Internazionale e l’AZPROMO.
Lo comunica la newsletter dell’Ambasciata azera in Italia www.azembassy.it.

giovedì 28 maggio 2009

TOGHE ROSSO SANGUE

RELAZIONE TENUTA IN OCCASIONE DELLA PRESENTAZIONE DEL LIBRO
"TOGHE ROSSO SANGUE" ORGANIZZATA DALLA FONDAZIONE ITALO FALCOMATA'




Quando Paride mi disse che stava scrivendo un libro sui magistrati assassinati, pensai immediatamente a Falcone e Borsellino. Tutti ricordano il loro sacrificio. Poi il mio pensiero andò ad Antonino Scopelliti, non solo perché reggino e ucciso in Calabria ma anche perché legato a un periodo ben preciso della mia vita. In quel torrido agosto del 1991, incontrai una persona che lo conosceva sin dai tempi dell’Università. Mi parlò di un giovante distinto e riservato; sempre in giacca e cravatta e con un paio di quotidiani sottobraccio. Un giovane, mi disse, che si notava. Poi altri nomi: Bruno Caccia, Vittorio Occorsio, Rocco Chinnici. Ma più frugavo nei meandri della memoria più trovavo il vuoto. Ignoravo o avevo dimenticato i tanti uomini caduti al servizio delle istituzioni. E che dire degli uomini della scorta? Già è brutto citarli così: non come singoli ma come componenti di un organismo più ampio, come se fossero privi di una loro peculiarità. Purtroppo ricordavo solo Lenin Mancuso e Manuela Loi. Anche qui un grande buco nero: che non aiuta. Non consente di comprendere quanto accaduto. Invito tutti a seguire il mio stesso percorso. Quali magistrati assassinati ricordate? Sono molti di più i dimenticati. Questo libro, quindi, copre un vuoto e restituisce al paese le storie di ventisei magistrati. E’ un libro da rileggere spesso e dovrebbe trovare posto nelle scuole. Ma i numeri non si fermano qui. E’ necessario aggiungere gli angeli custodi: diciassette appartenenti alle forze dell’ordine caduti mentre scortavano i magistrati. Dobbiamo, infine, ricordare coloro che furono coinvolti per caso. A volte sono definiti vittime innocenti: perché? Gli altri sono colpevoli? Sono il portiere della casa di Rocco Chinnici; il figlio del giudice Saitta assassinato con il padre. E poi Barbara Asta e i suoi due figli uccisi in un attentato contro il giudice Carlo Palermo. Infine, Pietro Nava, rappresentante di porte di Sesto San Giovanni: assiste all’omicidio Levatino e testimonia. Oggi vive all’estero, sotto falso nome. Un libro di Pietro Calderone e un film con Fabrizio Bentivoglio ricordano la sua storia. Già questo semplice elenco da il quadro di quanto accaduto: 48 morti. Una strage! Un unicum nella storia d’Europa. Il libro non è solo questo: una lista di morti. E’, anche, o forse soprattutto, un lungo viaggio nella storia d’Italia: nei suoi angoli più bui e nascosti, dove di solito pochi si avventurano. E chi lo fa, talvolta, lo fa con sensazionalismo e scandalismo. Paride Leporace, invece, compie il suo viaggio con professionalità. Non cerca lo scoop: cerca di riannodare, con pazienza, i fili di una lunga scia di sangue. Individua le zone d’ombra, le complicità, le omissioni. In questa lungo viaggio la Calabria è presente. Oltre alle vittime calabresi c’è Bruno Caccia, Procuratore della Repubblica, assassinato dalla ‘ndrangheta a Torino. Ma ci sono anche coloro che hanno un legame con la nostra Regione. Emilio Santillo, Questore di Reggio durante la rivolta; il gen. Mino comandante dell’ Arma dei Carabinieri caduto con l’elicottero sul Monte Covello. C’è, inoltre, traccia del lungo rapporto che come calabresi e meridionali abbiamo avuto, abbiamo e, spero continueremo ad avere in futuro con lo Stato. Come leali e fedeli servitori delle Istituzioni anche a prezzo della vita. Penso anche ai tanti semplici lavoratori che quotidianamente compiono il proprio dovere nelle Istituzioni: senza assurgere agli onori della cronaca. E’ un’utile occasione per riflettere su quanto sia avventata la richiesta di meno Stato che talvolta proviene proprio da chi dallo Stato e nello Stato trae risorse e legittimazione. Anche perché, quando lo Stato, nelle sue varie forme, arretra: altri occupano il suo posto. Il libro si apre con la storia di Agostino Pianta, lucano, Procuratore della Repubblica di Brescia ucciso il 17 marzo del 1969 da Loris Guizzardi. Guizzardi era stato condannato per omicidio prima della guerra. Riteneva quella condanna ingiusta e voleva vendicarsi. Come? Uccidendo un magistrato: uno qualsiasi. Toccò ad Agostino Pianta, che aprì così la lunga serie dei magistrati assassinati. Guizzardi si presenta al Palazzo di Giustizia di Brescia e chiede del Procuratore Capo. L’usciere gli dice che c’è da aspettare e lui aspetta. Alla fine della mattinata il dott. Pianta sta per andare via, ha già preso cappotto e cappello, quando l’usciere gli ricorda quella persona in attesa. “Poveretto, quanto ha aspettato”. Ma appena dentro l’ufficio Guzzardi non dice nulla: spara. Pianta morirà poco dopo il ricovero in ospedale. Oggi il figlio Donato è giudice alla Corte d’Appello a Brescia; nel cortile del Palazzo di Giustizia un busto ricorda suo padre. L’ultimo magistrato del libro è Paolo Adinolfi, magistrato della Corte d’Appello di Roma. Adinolfi esce da casa il 2 luglio del 1994 e non fa più ritorno: come Ettore Maiorana e Paolo Caffè. Ha lavorato a lungo alla sezione fallimentare del Tribunale di Roma. Si è occupato di crack eccellenti con vorticosi giri di denaro. Poi incontriamo Luigi Daga, catanzarese. Figlio di un magistrato, decide di seguire la strada paterna. Dopo la laurea in giurisprudenza a Roma, un periodo in polizia come commissario e poi in magistratura. Daga è un intellettuale: uno studioso di temi penitenziari. Dirige l’Ufficio Studi e Ricerche del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Pubblica articoli su riviste scientifiche ed è spesso relatore a convegni scientifici internazionali. Alcune sue riflessioni sono ancora attuali. “La risposta detentiva va adottata solo per i casi gravi. Soluzioni alternative devono prendere il posto del carcere“. Un no al carcere come rimedio per tutti i mali. Nell’ottobre del 1993 Daga è a Il Cairo, per partecipare come relatore al VI Congresso dell’Associazione egiziana di Diritto Criminale che si svolge all’Hotel Semiramis. Ma il fuoco dell’eversione islamica cova sotto la cenere. Il paese dei Faraoni è strategico. Controlla il Canale di Suez: vena giugulare del traffico marittimo mondiale. Ha firmato la pace con Israele: Sadat sarà assassinato per questo. Colpire i turisti significa destabilizzare il paese. Mentre Luigi Daga nella hall conversa con altri relatori, un terrorista inizia a sparare contro gli stranieri che bevono alcolici. Daga è colpito alla testa da due pallottole ma è vivo. Le sue condizioni sono disperate: trasferito a Roma, morirà al San Filippo Neri dopo venti giorni d’agonia. Oggi, l’Istituto Sperimentale a Custodia Attenuata di Laureana di Borrello - una struttura all’avanguardia - porta il suo nome. Presso la Biblioteca Comunale Pietro De Nava c’è un libro di un Luigi Daga Per la festività della città di Reggio in onore di Maria del Consolo nella tornata dell’anno 1844. Non è ovviamente lui, ignoro se sia un suo avo. Poi c’è la lunga lista dei magistrati uccisi dal terrorismo durante gli anni di piombo. Francesco Coco, Procuratore Generale di Genova, primo magistrato vittima del terrorismo e delle Brigate Rosse. Vittorio Occorsio, PM romano ucciso da Pierluigi Concutelli: nome di battaglia Comandante Lillo. E’ ormai storia la sua foto mentre saluta romanamente dopo l’arresto. Concutelli è il comandante militare di Ordine Nuovo. Ha un ruolo di primo piano nella galassia eversiva di destra, con contatti anche con Guerin Serac dell’Aginter Press di Lisbona. Durante la detenzione commette due omicidi. Dopo 28 anni di carcere, inizia a lavorare all’esterno. Ma, trovato in possesso di una modica quantità di droga leggera, perde i benefici di legge. Il quotidiano di Rifondazione Comunista lo difende. Incontriamo Riccardo Palma, che si occupa di edilizia carceraria e Girolamo Tartaglione capo dell’Ufficio degli Affari Penali al Ministero di Grazia e Giustizia: assassinati dalle Brigate Rosse. Fedele Calvosa, Procuratore della Repubblica di Frosinone - nato a Castrovillari - assassinato dalla Formazioni Comuniste Combattenti. Con il suo omicidio, volevano compiere un salto di qualità: sarà la loro fine. Tra l’altro, un terrorista fu ucciso da altri terroristi. Emilio Alessandrini che scoprì la pista nera su Piazza Fontana. Assassinato da Prima Linea, perché – secondo i suoi assassini - dava credibilità allo Stato che si voleva abbattere. Stessa sorte per Guido Galli. Nicola Giacumbi, Procuratore della Repubblica di Salerno, ucciso per una sorta di prova di coraggio da un gruppo di sbandati, aspiranti terroristi. Girolamo Minervini rifiuta la scorta per non far massacrare inutilmente tre o quattro ragazzi. Sarà assassinato sull’autobus. Dirà il figlio: “Senza scorta e in autobus, andò a fare la sua parte, senza chiedersi se l’avessero fatta anche gli altri”. Di Mario Amato, PM romano vittima dei NAR, è rimasta nella memoria collettiva la fotografia con la sua scarpa bucata. Un’immagine impietosa che dava l’idea di uno stato a brandelli, incapace di reagire. Poi c’è il lungo, terribile elenco degli assassinati dalla criminalità organizzata: il cuore di tenebra della storia repubblicana. Se il terrorismo fu chiaro nella sua ferocia, pur con un corollario di ambiguità e misteri, ben diverse sono queste storie. Nell’immaginario collettivo è il fuoco a fare paura. Personalmente temo l’acqua. Il fuoco è terribile con le fiamme e il fumo: ma è visibile. L’acqua è più insidiosa: scorre silenziosa e sotterranea; scopre e utilizza ogni interstizio. Con i giudici uccisi dal crimine organizzato entriamo in una dimensione melmosa che Paride Leporace ben descrive con “equilibri paludosi”; “opaco contesto”; “nebulosa vicenda”. E’ Pietro Scaglione, Procuratore della Repubblica di Palermo, ad aprire questo triste elenco il 5 maggio del 1971. Anche allora non mancarono i veleni. Scaglione stava per essere trasferito a Lecce per via di alcune polemiche che avevano scosso gli ambienti giudiziari cittadini. Aveva allestito molti processi di mafia, alcuni poi condurranno al grande processo di Catanzaro. Già allora si assistette al consueto fiume di polemiche, accuse, critiche, indiscrezioni. Il risultato, in questi casi, è una gran confusione che intorbida le acque e allontana la verità. Altri magistrati avranno lo stesso destino. Francesco Ferlaino, Avvocato generale dello Stato di Catanzaro: assassinato con due colpi di lupara sotto casa in Corso Numistrano a Lamezia Terme. Cesare Terranova, già parlamentare del PCI per due legislature. Il processo per il suo omicidio si terrà a Reggio di Calabria. Gaetano Costa, partigiano in Val di Susa e Procuratore a Palermo. Gian Giacomo Ciaccio Montalto, assassinato a Trapani a colpi di Smiht & Wesson e mitraglietta. L’orologio della sua auto si bloccò all’una e dodici; l’allarme fu dato da un pastore alle sei e quarantacinque. Durante quelle ore nessuno si affacciò; nessuno si chiese cosa fosse successo. Montalto viveva solo, la moglie e le figlie vivevano altrove: morirà solo. La sua colpa? Era riuscito a mettere il naso nei forzieri del crimine: quell’enorme flusso di denaro frutto del traffico di droga. Rocco Chinnici vittima di un’auto bomba: in perfetto stile libanese. E un libanese sarà tra i primi indagati. Alberto Giacomelli, un anziano giudice, tranquillo e riservato, assassinato a Trapani, mentre infuriavano le polemiche per l’articolo di Sciascia sui professionisti dell’Antimafia. Un magistrato che alla domanda qual è il compito del giudice risponde: “Non è solo quello di applicare meccanicamente le regole del diritto, ma soprattutto di mediare le tensioni della società in cui vive”. Anche in questo caso piste vere e piste false; balordi e consueto giro di voci. Poi i nomi noti: Falcone, Morvillo e Borsellino. L’allora Presidente della Corte d’Appello di Palermo farà presente a Giovanni Falcone che il suo amore per Francesca Morvillo da scandalo. Da scandalo una storia d’amore sincera e riservata? Tra due persone accomunate da un percorso professionale prima, di vita poi e infine da un tragico destino di morte. Forse le pietre dello scandalo avrebbero dovuto essere altre. Francesca Morvillo subito dopo l’attentato, nonostante la gravità delle proprie ferite, chiederà notizie di Giovanni. Paride Leporace non pubblica un biglietto d’amore di Giovanni a Francesca. Non vuole violare una sfera intima che nulla aggiunge ai fatti. Un estremo, nobile gesto di rispetto. Dopo Falcone tocca a Borsellino. Dalla sua storia apprendiamo di un contatto tra Cosa Nostra e le Istituzioni. Addirittura sarebbe stato preparato un elenco di richieste: il papello. Ma i protagonisti negano. Qual è la verità? Da queste pagine affiorano altre storie. Bruno Contrada condannato per mafia ma difeso a spada tratta dalla moglie e dal figlio del giudice Costa, che continuano la battaglia antimafia. E poi altri uomini delle istituzioni assassinati: il capitano dei carabinieri Emanuele Basile, il capo della mobile palermitana Boris Giuliano, Ninni Cassarà, Beppe Montana, Pio La Torre, Guido Rossa …etc. etc. Rivediamo anche volti di potenti ormai inghiottiti dal tempo: Aristide Gunnella e Salvo Lima; Clelio Darida e Claudio Martelli. Sono lontanissimi, ormai coperti dalla polvere della storia. Potremmo dire, parafrasando un vecchio film western “Nessuna pietà per Ulzana”, sembrano niente: eppure furono qualcuno. Un libro, che come tutti i buoni, libri lascia ancora voglia di sapere e conoscere. O meglio ancora è una porta che si apre su realtà da svelare. Ma qual è l’elemento che accomuna questi magistrati assassinati? Oltre l’impegno, la fedeltà alle istituzioni, la professionalità. Essere soli. Ne parla Antonino Scopelliti. Non frequentare nessuno; non fidarsi di nessuno; isolarsi. E’ un pò morire. Ma oggi i giudici sono ancora soli?

Tonino NOCERA

SDEROT

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Il Riformista Informazione che informa


28.05.2009 Vita quotidiana a Sderot
Uno dei principali bersagli di razzi dalla Striscia

Testata: Il Riformista
Data: 28 maggio 2009
Pagina: 11
Autore: Alessandra Cardinale
Titolo: «Vivere e (non) morire dove piovono i Qassam»



Riportiamo dal RIFORMISTA di oggi, 28/05/2009, a pag. 11, l'articolo di Alessandra Cardinale dal titolo "Vivere e (non) morire dove piovono i Qassam".

«Se sei per strada e senti una voce metallica che dice Tzevah Adom, Tzevah Adom, devi subito correre a nasconderti nel palazzo più vicino, può essere un negozio, una palestra non importa. Poi ti devi sedere per terra, lontano dalle finestre e mettere le mani sulla testa. Ricordati che per fare tutto questo hai solo 15 secondi, hai capito?».
Moshe si sforza di essere molto chiaro, gesticola con le mani e ogni tanto con l'indice si sistema gli occhiali da vista bene sul naso. «Quindi -dice - stai attenta e non metterti nei guai». Si gira di scatto e si allontana con lo zaino in spalla che a ogni passo saltella su e giù come i lunghi peot che gli arrivano quasi a sfiorare le spalle. Ha fretta perchè deve tornare a casa a fare i compiti. Moshe ha solo 11 anni ma parla e si muove come un adulto. A Sderot lo conoscono tutti perchè è il figlio di Sason Sara, il droghiere della città ma anche lo scrivano che si occupa tra un pacchetto di LM rosse e Parliament light di spedire al ministero dell'edilizia i reclami dei suoi concittadini stufi di aspettare la ricostruzione di palazzi e strade distrutte dai razzi Qassam che da otto anni Hamas lancia da Gaza.
La guerra, quella coperta dai media fino al 20 gennaio scorso, è finita. Quella reale però continua: ogni tre o quattro settimane parte un razzo diretto verso le aree di Sderot o Ashkelon, rispettivamente a uno e dieci chilometri dalla Striscia. Dalla fine di gennaio a oggi si contano solo feriti nessun morto «nessuno sa quando deve morire e come quindi inutile agitarsi».
Yafa Malka fa la parrucchiera «specializzata in tinture bionde». Anche lei, ovviamente, è bionda, truccatissima e con un neo sopra l'angola destro della bocca che la fa sembrare un'attrice americana degli anni '50. Dal ripostiglio urla di seguirla. «Vieni, ti faccio vedere dove mi nascondo quando scatta il codice rosso». È una stanza adibita a magazzino delle tinture e degli shampoo ma che all'occasione diventa un piccolo monolocale barra bunker. Nessuna finestra, che come spiegava il piccolo Moshe sono pericolose, due fornelletti elettrici, una sedia, un divano letto e un paio di ventilatori. «C'è l'essenziale per massimo un paio di giorni nei casi peggiori altrimenti ti consigliano di aspettare 5-10 minuti dall'allarme per riuscire». Nel negozio due signore aspettano impazienti di essere toccate dalle «magiche mani di Yafa» come dice una delle due che viene da Ashkelon per farsi bella «all'inizio avevo paura di guidare fino a qua ma voglio una vita normale o almeno faccio finta di averla. In verità a volte immagino i titoli dei giornali: cinquantenne uccisa da un razzo Qassam mentre andava dal parrucchiere» e scoppiano tutte a ridere. L'altra signora racconta che nella scuola della figlia che si trova poco distante dal negozio di Yafa alcune aule vengono impiegate come rifugio «il preside del liceo le ha volute colorare di azzurro in modo tale che siano riconoscibili dagli studenti che se allo scattare dell'allarme dovessero entrare in panico possono facilmente individuare la stanza giusta».
L'ultimo razzo è stato lanciato il 20 maggio scorso nei giorni in cui il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu era a Washington da Obama. «E non è un caso» spiega Nissim Peretz, il proprietario della casa colpita dal Qassam che ha fatto in tempo a rifugiarsi nella sua "security room". «Saremmo dovuti uscire dalla Striscia solo quando Hamas avesse smesso di lanciare razzi. Ora stiamo pagando gli errori di un governo la cui unica preoccupazione quattro mesi fa erano le elezioni». Nissim racconta anche delle lungaggini dell'esecutivo israeliano nel ricostruire alcuni dei 58 bunker statali che il governo ha messo a disposizione degli abitanti di Sderot ma che a conti fatti sono inagibili.
«Alcuni non hanno elettricità e acqua e in altri le tubature sono scoppiate provocando allagamenti. Quindi meglio costruirselo in caso sacrificando magari la cantina». Nissim non ha voluto aspettare l'intervento del governo per ricostruire la parte danneggiata della casa ma ha fatto da solo con l'aiuto di alcuni amici. La prima cosa che ha rimesso a posto è stata la Hamsa, la mano protettrice che si appende sulla porta di casa che in ebraico recita «nessun angoscia vivrà tra queste mura, nessuna paura passerà attraverso questa porta, nessun conflitto regnerà in questa dimora».


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RELIGIONI A TAIWAN

Il Presidente Ma Ying-jeou ha ricevuto a Taipei una delegazione di musulmani di ritorno dal pellegrinaggio a La Mecca. Lo scrive l’ultimo numero della Newsletter dell’Ambasciata di Taiwan presso la Santa Sede. Il periodico pubblica anche una fotografia dell’evento.
A Taiwan – dove i musulmani sono circa l’0,3 per cento dei 23 milioni di cittadini – i fedeli di diverse religioni convivono in armonia.
Infatti, sullo stesso numero della Newsletter, leggiamo di un incontro interreligioso presso il Museo delle Religioni a Taipei - fondato nel 2001 dal monaco buddista Hsin Tao - e delle celebrazioni per il 150° anniversario della presenza dei Domenicani a Taiwan: il primo ordine religioso sbarcato sull’isola.

Tonino Nocera

mercoledì 20 maggio 2009

NUOVE DA TAIPEI

I roditori privi del gene Cisd2 invecchiano prima. La scoperta, del tutto casuale, è stata fatta da un gruppo di ricercatori guidati da Tsai Ting-fen, direttrice del Mouse Genetics Laboratory dell’Istituto di Scienza del Genoma dell’Università Yang-Ming di Taipei. La notizia è stata divulgata in Italia da www.dossiermedicina.it. Gli scienziati hanno verificato che in un topo privo del gene Cisd2 il pelo imbiancava, il peso calava e la massa muscolare e ossea si riduceva. Proprio come si verifica in un topo più vecchio. Il prossimo obiettivo è stabilire se un’alimentazione di sostanze antiossidanti rivitalizza il gene Cisd2.

Tonino Nocera

VIETNAM OGGI

Il paese indocinese è oggi protagonista di una straordinaria crescita economica e l’Italia svolge un ruolo determinante. Lo scorso gennaio è stato inaugurato uno stabilimento per la produzione di motori elettrici a Ben Cat, nella provincia di Binh Duong, circa 50 km. da Ho Chi Minh City. La fabbrica appartiene alla Bonfiglioli Vietnam, il cui 75% è di proprietà della Bonfiglioli Riduttori. Anche la Piaggio dovrebbe realizzare uno stabilimento per la costruzione di Vespe. In Vietnam la vespa è il veicolo di locomozione più diffuso. Ma i rapporti tra il Bel Paese e il Vietnam non si esauriscono qui. I vietnamiti amanti del vino italiano hanno a disposizione un sito, realizzato dall’ICE, www.ruouvangy.com interamente dedicato ai nostri vini. Infine, grazie alla collaborazione tra la Camera di Commercio Italia-Vietnam e il Centro di Studi Vietnamiti di Torino è nato www.viet-it-affairs.com. Uno strumento in più per chi è interessato a conoscere meglio il paese asiatico.
Tonino Nocera

venerdì 8 maggio 2009

ZUCCARELLO

Nome di battesimo: Mats Andrè; secondo cognome: Aasen; primo cognome: Zuccarello. E’ un attaccante della nazionale norvegese di hockey su ghiaccio. Il cognome tradisce le chiare origini italiane. Zuccarello è nato a Oslo il 1° settembre 1987. Il nonno proveniva da un paese siciliano tra Messina e Palermo di cui non ricorda il nome. Lo rivela lo stesso Zuccarello in un’intervista a www.hockeytime.net dove dichiara, tra l’altro, di non parlare italiano, per questo si è iscritto a un corso, e di voler visitare l’Italia. Il giovane è un’ala destra con tiro sinistro. Lo scorso novembre nell’Euro Ice Hockey Challenge a Oslo, l’Italia fu sconfitta 2 a 1 dalla Norvegia. Un goal fu realizzato da Zuccarello. Per vederlo all’opera sul ghiaccio: http://www.youtube.com/watch?v=WgZ_ctSrvZM&feature=related.

Tonino Nocera

DELARA DARABI

DELARA DARABI
L’on. Angela Napoli (Popolo della Libertà) è il primo parlamentare ad aderire alla proposta di intitolare una piazza di Roma a Delara Darabi impiccata il 1° maggio in Iran. L’iniziativa è dell’Associazione Rifugiati Politici Iraniani in Italia che ha inviato una lettera al sindaco Alemanno. “Non ho parole” ha dichiarato l’on. Napoli ”per esprimere ciò che continuano a provocare in me l’odio e la vendetta del regime dei mullah. Anche io mi unisco al dolore della famiglia di Delara Darabi e a quello del sano popolo iraniano”. La ragazza è stata impiccata all’insaputa del suo avvocato e dei suoi familiari. La condanna a morte, prevista per il 20 aprile, era stata sospesa in seguito alle proteste internazionali. Poi il 1° maggio: il tragico epilogo. Speriamo che anche altri parlamentari calabresi seguano il suo esempio. In particolare sarebbe auspicabile ascoltare la voce dei candidati al Parlamento Europeo non solo su questa vicenda ma sul Medio Oriente. Aiuterebbe i cittadini a scegliere. Tempo fa, l’on. Francesco Nucara – segretario nazionale del Partito Repubblicano Italiano – visitò Sderot per esprimere la propria solidarietà ai cittadini di quella città israeliana, bersagliata dai missili lanciati da Gaza. E se in attesa della decisione di Alemanno, un sindaco calabrese intitolasse una piazza a Delara Darabi?
Tonino Nocera

mercoledì 22 aprile 2009

DI GENERAZIONE IN GENERAZIONE

di generazione in generazione
Cronaca domestica degli Ancona dal XIV al XXI secolo
La fotografia sulla copertina – padre e figlio (Gabriele e Davide) che, per mano e con la kippah, vanno incontro alle tombe dei loro avi nel cimitero di Bozzolo - ben sintetizza il libro di Gabriele Ancona: di generazione in generazione. E’ la storia di una famiglia ebrea. Tutto comincia ad Ancona (da qui il nome della famiglia) dove nel 1370 circa nasce Joseph. Dalla città marchigiana le generazioni successive si spostano a Cremona, Livorno, Padova, Carrara, Rovigo (queste sono solo alcune delle città citate) per giungere a Milano, dove vive l’autore. Nei secoli un ramo della famiglia si stabilisce in Venezuela. Attraverso le loro vicende ripercorriamo la storia d’Italia. Dall’Emancipazione al Risorgimento; dalle Leggi Razziali alla Liberazione. Molti gli incontri interessanti. Uno fra tutti: Livio Ezio Ancona che trascorre gli ultimi anni presso una casa di riposo gestita da suore. Il suo funerale è celebrato da quattro sacerdoti. Il padre dell’autore lo definiva “un ebreo morto in odore di santità”. Apprendiamo anche che i bisnonni di Gabriele Ancona e della moglie si conoscevano: un fatto singolare. Tutto scorre: in un sapiente equilibrio tra pubblico e privato. Ma il libro non è solo questo. E’ anche un viaggio alla scoperta delle proprie tradizioni familiari che termina con la conversione di Gabriela Ancona all’ebraismo guidata da Bruno Di Porto e Rabbi Barbara Irit Aiello. Il volume non è in commercio e può essere richiesto all’autore gabriele.ancona@fastwebnet.it.
Tonino NOCERA

MAZAL TOV

Tutte le volte che avvertiamo un malessere pensiamo sia un fenomeno passeggero. Se persiste, andiamo dal medico, facendoci coraggio e sperando che non sia nulla di grave: spesso è così. Talvolta, invece, il responso sanitario è durissimo. Come è accaduto a Luana Colletti. Tumore al seno disse il medico; una diagnosi che la colpì violentemente. Non capiva e non accettava: ma era impossibile cambiare il corso degli eventi. Era necessario affrontare il male a viso aperto: senza esitazioni e tentennamenti. Così Luana si fece forza e percorse - con coraggio e vigore – il sentiero della malattia. Durante il cammino avrebbe incontrato altri eventi infelici: non si piegò. Lottò senza sosta e senza esitazione. Alla fine della notte: la luce. L’alba di una nuova vita con la figlia Lidia e due cagnolini. Ma il percorso fu arduo. Per raggiungere la meta furono necessarie un’operazione bilaterale radicale e otto chemio. Oggi Luana è impegnata nell’associazione Chelidon (www.chelidononlus.it) che si occupa del sostegno psicologico alle donne e alla famiglia per le neoplasie al seno. Chelidon organizza gruppi di lavoro psicologico tra donne per elaborare la paura e il dolore del tumore. Svolge anche attività artistiche e seminari. Da quell’esperienza è nato un libro di poesie Aprendo spazi. Un titolo che fa pensare a una porta chiusa da troppo tempo che solo ora si apre. Come se quanto accaduto avesse svelato a Luana un mondo sconosciuto. Probabilmente è così. Il sottotitolo ho trovato il tempo di gustare ci fa pensare alle tante occasioni perdute. Quante volte non andiamo al cinema con i nostri figli perché c’è qualcosa di più importante (ma cosa?). Quante volte pensiamo di trascorrere un week-end con una persona cara; ma, invece di partire, valutiamo e aspettiamo finché tutto sfuma via. Come una nuvola che, spinta dal vento, si dissolve all’orizzonte. Il libro è dedicato alla figlia Lidia “allo splendore che già è, alla meravigliosa donna che sarà”. Nella prefazione Simonetta Brighi (che conosce da sempre Luana essendo stata sua insegnante) scrive che Luana è come in bilico tra una situazione di normalità e un oltre profondo e segreto. Questo ben si comprende leggendo i suoi versi che ci conducono verso sconosciuti mondi interiori. Le poesie di Luana ricordano gli acquerelli, forse grazie anche alla gradevole e particolare veste grafica. Uno stile tenue, leggero ma talvolta – all’improvviso – affiora la spatola. Come i gatti; simpatici animali ma che – ricordiamolo sempre - appartengono alla famiglia dei felini. I titoli sono refoli che, scuotendoci dal nostro torpore, ci riportano alla vita. La poesia più bella (almeno quello che prediligo) è Sola. “Sola come gli scogli davanti al mare in tempesta…” Scogli che però oppongono una strenua resistenza alle onde del mare che si infrangono con forza e vigore: inesorabilmente e senza tregua. Ma dopo l’impatto sulla roccia si disperdono in milioni di gocce d’acqua inoffensive. Eppure ci avevano intimoriti; come gli ostacoli che incontriamo nella vita. Dopo sembrano niente; eppure appena apparsi all’orizzonte, sembravano terribili. E Luana in Voglia di vivere ricorda: “se ci sono ostacoli che ho messo nella mia vita è per imparare a superarli; se talvolta sono alti e perché ho iniziato a saltare”. E poi si ricomincia, scalino dopo scalino, tenendo a mente quelli superati: sono la nostra forza e il nostro orgoglio. In Meditando riecheggiano echi cabalistici “All’improvviso ero nell’universo fuori – tutto – e l’universo subito dopo era in me – vasto e multiforme”. Ma vi è anche il mare interiore di Cambiamento ”Trema tutto intorno e nei miei abissi, il mare soffia dentro come tempesta,“ ma la speranza è che “possa io stanotte udirne lieve la musica tra le rocce e le acque dei sogni”. Sì Luana: il mare si è ormai placato e le sue onde sono solo un pallido ricordo della furia passata. Una brezza leggera le increspa e il sole dardeggia all’orizzonte. E tu, come un albatro, voli, tranquilla e serena, verso l’infinito. Mazal Tov.

Tonino Nocera

LA SIGNORA DELLE LEONESSE

Shlomo Bunimovitz e Zvi Lederman - archeologi dell’Università di Tel Aviv - hanno scoperto, durante una campagna di scavi Tel Beth-Shemesh, una piastra di terracotta raffigurante una dea in abiti femminili. La figura rappresentata è abbigliata come i re e le divinità egizie e cananee. Però la capigliatura è femminile e le mani reggono fiori di loto, simboli femminili. Forse si tratta della Signora delle Leonesse, una regina nota perché nel 1350 a. C. inviò al Faraone d’Egitto due lettere con cui chiedeva aiuto contro gli invasori che erano penetrati nella regione. Le due lettere, scritte su tavolette d’argilla, furono rinvenute da alcuni contadini egiziani a El Amarna. Non si conosce su quale città regnasse, però qualche anno fa il prof. Nadav Naaman dell’Università di Tel Aviv ha ipotizzato che possa trattarsi di Beth Shemesh. Ma non vi sono prove a sostegno di questa teoria. La città fu distrutta con violenza e rapidità. Ciò è positivo per i ricercatori perché gli abitanti, non avendo avuto il tempo di scappare, non hanno portato nulla con sé. Questo consente agli studiosi di poter contare una gran quantità di materiale per le loro ricerche. Inoltre gli oggetti di lusso, sin qui rinvenuti, fanno pensare che la città fosse tra le più ricche e importanti della regione. Gli scavi, previsti per la prossima estate, potranno fornire risposte alle tante domande e ipotesi sin qui formulate.

Tonino NOCERA

martedì 21 aprile 2009

GINEVRA

Non mi indigna il delirio antisemita di Ahmadinejad: era prevedibile. Cosa ci si poteva aspettare? Invece, mi disgustano quei diplonatici che sono rimasti ad ascoltarlo o sono usciti per la pausa caffè. Avrebbero fatto meglio a non presentarsi, ma non reagire dopo quelle parole. Cosa pensano? Cosa sperano?
Ricordano quella scenetta di Totò: vediamo questo cretino dove vuole arrivare.
Tonino NOCERA