Tratto da www.agenziaradicale.com
Un nuovo scenario sanitario mondiale Rendiamo Taiwan parte della soluzione globale
venerdì 29 maggio 2009
di
YEH CHING-CHUAN
Ministro,
Dipartimento della Salute
Repubblica
di Cina (Taiwan)
Con l’attendismo e la flessibile
pazienza tipici della cultura orientale alla fine Taiwan ha ottenuto di venire
ammessa a partecipare ai lavori dell’Assemblea Mondiale della Sanità, sia pure
solo come Membro osservatore e con la dizione di “Taipei Cinese” e non – o non
ancora – come Membro ordinario a tutti gli effetti.
È un importante risultato in quel
processo che normalizzazione tra l’Isola e la Cina continentale, che Agenzia Radicale segue con
interesse, in quanto il metodo del dialogo e della reciproca comprensione, sia
pure a piccoli e progressivi passi, oggi si pone come modello in un’area
geostrategica ancora al centro di gravi tensioni e di velleitarismi
bellicistici.
Riceviamo e pubblichiamo un commento
al riguardo di Yeh Ching-chuan, Ministro della Salute di Taiwan
*****
In Taiwan, gli esperti di medicina e salute pubblica hanno a lungo sognato
il ritorno dell’isola all’interno dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per
contribuire direttamente e in modo efficace allo sforzo della comunità
internazionale per la salute.
Ora questo sogno si è realizzato, dal momento che Taiwan prenderà parte all’Assemblea
Mondiale della Sanità in qualità di membro osservatore con il nome di “Taipei
Cinese”, sforzandosi al pari di ogni altra nazione all’interno di questa
istituzione per promuovere la salute di tutti i popoli.
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Le pandemie non tengono in considerazione
i confini
In seguito alla continua crescita del commercio globale, del turismo e dei
viaggi d’affari, i confini nazionali diventano sempre più irrilevanti
nell’affrontare le minacce alla salute pubblica, al punto che tutte le nazioni
devono collaborare per il bene comune.
I recenti sforzi volti a tenere sotto controllo i virus influenzali e a
garantire la sicurezza alimentare offrono concreti esempi. Alcuni casi di
influenza aviaria riscontrati tra gli esseri umani si sono verificati in Paesi
vicini a Taiwan, nel novembre 2005. Gli spostamenti transnazionali di uccelli
migratori durante la stagione delle migrazioni hanno aumentato il rischio di
diffusione dell’influenza aviaria, altamente patogena, ben al di là dei suoi
focolai originari, così come è stato dimostrato in alcune ricerche che indicano che gli uccelli
migratori sono, in genere, tra i principali vettori di virus. Ogni anno, circa
1,25 milioni di uccelli, comprendenti 351 specie migratorie, volano verso il
sud dalla Cina continentale, dal Giappone, dalla Corea, verso Taiwan, prima di
continuare in direzione di Filippine, Indonesia, Malaysia e Australia. Essendo
Taiwan un luogo di transito obbligato per gli uccelli migratori, il rischio di
esplosione di influenza aviaria è considerevole.
Una ricerca condotta dal nostro Dicastero indica che, se dovesse
verificarsi un attacco di influenza aviaria trasmissibile da uomo a uomo,
potrebbero risultare infettati fino a 5,3 milioni di persone, con decessi che
si aggirerebbero intorno alle 14.000 unità.
Di conseguenza, ogni anno all’arrivo della stagione delle migrazioni, le
agenzie taiwanesi di salute pubblica entrano in stato di allerta per prevenire
il manifestarsi della malattia sull’isola. Fortunatamente, fino ad oggi, Taiwan
non ha ancora sperimentato alcuno scoppio di influenza aviaria, nè ha
registrato alcun caso di decesso connesso alla malattia.
Una prevenzione efficace dell’influenza aviaria richiede un lavoro
d’insieme da parte dei vari Paesi, comprensivo di una corretta comunicazione
per monitorare lo stato dell’epidemia e il livello di diffusione dei casi.
Chiaramente, la condivisione tra Paesi delle informazioni sullo stato della
trasmissione del virus e l’assistenza tecnica internazionale sono enormemente
importanti per la prevenzione di una pandemia globale.
Allo stesso modo, c’è urgente bisogno di cooperazione e di interscambio di
informazioni tra i vari Paesi per contrastare la diffusione del nuovo virus
H1N1. Quale membro della comunità internazionale, Taiwan parteciperà
accuratamente nello sforzo internazionale di prevenzione della pandemia.
Scambierà informazioni con ogni Paese, si impegnerà congiuntamente ad essi
nell’ostcolare la trasmissione della malattia, lavorerà attivamente alla
preparazione e allo sviluppo di un vaccino e immagazzinerà materiali per il
trattamento medico pertinenti ad affrontare qualsiasi potenziale scoppio
pandemico. E quando necessario, Taiwan offrirà il suo aiuto per assistere altri
Paesi nella prevenzione delle malattie, fornendo le risorse per le cure necessarie
e lavorando di pari passo con il resto del mondo per resistere alle incursioni
del virus influenzale.
L’altro esempio riguarda la sicurezza alimentare globale, che rappresenta
un problema sempre più serio. Mezzi di trasporto rapidi e tecniche di conservazione
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avanzate permettono a varie tipologie di cibi di trascendere le limitazioni
derivanti dalle distanze geografiche e di essere consumati in qualunque parte
del mondo.
I prodotti alimentari ora circolano ampiamente e i loro ingredienti possono
provenire da qualsivoglia luogo. E’ quindi sempre più difficile tenere sotto
controllo la sicurezza alimentare, dal momento che vi è una crescente varietà
di origini degli ingredienti. Soltanto una rapida circolazione di informazioni
dettagliate e una serrata cooperazione interfrontaliera nel monitorare e
controllare tali alimenti permette ad ogni Paese di tenersi al passo con la
situazione sanitaria per ogni tipo di cibo, e, nel momento in cui una minaccia
viene alla luce, di tracciare il percorso di ogni alimento contaminato dalla sua
partenza alla sua destinazione.
La Moderna organizzazione per la tutela della sicurezza del cibo è
differente dagli approcci tradizionali – La prevenzione richiede operazioni
concordate tra i Paesi.
Come gli altri Paesi, Taiwan deve confrontarsi con questi importanti
argomenti connessi alla salute pubblica. Affrontando le sfide di un mondo
globalizzato, Taiwan sarà in grado di partecipare egregiamente alle attività
dell’OMS. Unendosi al sistema sanitario internazionale, la Repubblica di Cina
(Taiwan) assicurerà la salute e la sicurezza di 23 milioni di Taiwanesi.
I Contributi che Taiwan può offrire
alla sanità mondiale
All’interno di una rapida crescita economica, Taiwan ha realizzato un
eccezionale sistema sanitario. L’Economist Intelligence Unit ha classificato
Taiwan al secondo posto nel mondo in termini di performance del sistema
sanitario, sottolineando gli ottimi risultati dell’isola. Dal ventesimo secolo
ad oggi, Taiwan ha raggiunto diversi obiettivi eccellenti, quali l’eliminazione
del vaiolo, del colera, della malaria e della poliomelite, l’estensione globale
del vaccino contro l’epatite B e il lancio di un programma di assicurazione
sanitaria universale.
Il ritorno di Taiwan nel sistema internazionale, derivante dall’opportunità
offertaci di partecipare all’Assemblea Mondiale della Sanità nel ruolo di
osservatori, ci permetterà di condividere la nostra esperienza con gli altri
Paesi e di contribuire alla salute della popolazione mondiale.
Taiwan ha dimostrato le proprie capacità con i risultati ottenuti nella
lotta alla malaria nel Sao Tomé e Principe, ed ha creato dei Taiwan Health Centers nelle Isole
Salomone e nelle Isole Marshall, per offrire cure mediche e servizi sanitari
pubblici.
Taiwan è oltremodo desiderosa di aiutare gli altri Paesi nella risoluzione
delle problematiche connesse alla professione medica, quali ad esempio la
pianificazione di un network sanitario, la prevenzione e il trattamento delle
malattie infettive, l’assicurazione sanitaria, la ricerca, il soccorso medico,
così come la prevenzione dai rischi del fumo. Noi faremo qualunque cosa in
nostro potere per contribuire alla crescita della comunità internazionale e per
migliorare la salute della popolazione mondiale.
Agenzia Radicale
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Conclusione
La comunità internazionale ha positivamente ha riconosciuto questa
attitudine pragmatica e flessibile, accogliendo Taiwan quale membro osservatore
dell’Assemblea Mondiale della Sanità, quest’anno.
La partecipazione di Taiwan nell’OMS sarà un grande passo avanti per i
diritti umani connessi con la salute globale, e cancellerà l’ultimo gap esistente nel network della
sicurezza sanitaria internazionale.
Noi speriamo di raggiungere una sempre maggiore partecipazione agli eventi,
ai meccanismi e ai incontri che caratterizzeranno il futuro dell’OMS, e
attendiamo con ansia di mettere in pratica la nostre competenze, contribuendo
così in maniera significativa alla sanità internazionale.
Taiwan è pronta a condividere con il mondo la sua esperienza e i traguardi
fino ad ora raggiunti nel settore sanitario, e si ripromette che nel prossimo
futuro seguirà attivamente ogni politica dell’OMS, prenderà parte agli eventi
di questa istituzione e farà del suo meglio per dare il proprio contributo.
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domenica 31 maggio 2009
venerdì 29 maggio 2009
Azerbaigian e Israele
E’ cominciato a Tel-Aviv il business forum Israele – Azerbaigian. E’ prevista la stipula dell’Accordo sulla cooperazione fra l’Istituto israeliano dell’Export e della Cooperazione Internazionale e l’AZPROMO.
Lo comunica la newsletter dell’Ambasciata azera in Italia www.azembassy.it.
Lo comunica la newsletter dell’Ambasciata azera in Italia www.azembassy.it.
giovedì 28 maggio 2009
TOGHE ROSSO SANGUE
RELAZIONE TENUTA IN OCCASIONE DELLA PRESENTAZIONE DEL LIBRO
"TOGHE ROSSO SANGUE" ORGANIZZATA DALLA FONDAZIONE ITALO FALCOMATA'
Quando Paride mi disse che stava scrivendo un libro sui magistrati assassinati, pensai immediatamente a Falcone e Borsellino. Tutti ricordano il loro sacrificio. Poi il mio pensiero andò ad Antonino Scopelliti, non solo perché reggino e ucciso in Calabria ma anche perché legato a un periodo ben preciso della mia vita. In quel torrido agosto del 1991, incontrai una persona che lo conosceva sin dai tempi dell’Università. Mi parlò di un giovante distinto e riservato; sempre in giacca e cravatta e con un paio di quotidiani sottobraccio. Un giovane, mi disse, che si notava. Poi altri nomi: Bruno Caccia, Vittorio Occorsio, Rocco Chinnici. Ma più frugavo nei meandri della memoria più trovavo il vuoto. Ignoravo o avevo dimenticato i tanti uomini caduti al servizio delle istituzioni. E che dire degli uomini della scorta? Già è brutto citarli così: non come singoli ma come componenti di un organismo più ampio, come se fossero privi di una loro peculiarità. Purtroppo ricordavo solo Lenin Mancuso e Manuela Loi. Anche qui un grande buco nero: che non aiuta. Non consente di comprendere quanto accaduto. Invito tutti a seguire il mio stesso percorso. Quali magistrati assassinati ricordate? Sono molti di più i dimenticati. Questo libro, quindi, copre un vuoto e restituisce al paese le storie di ventisei magistrati. E’ un libro da rileggere spesso e dovrebbe trovare posto nelle scuole. Ma i numeri non si fermano qui. E’ necessario aggiungere gli angeli custodi: diciassette appartenenti alle forze dell’ordine caduti mentre scortavano i magistrati. Dobbiamo, infine, ricordare coloro che furono coinvolti per caso. A volte sono definiti vittime innocenti: perché? Gli altri sono colpevoli? Sono il portiere della casa di Rocco Chinnici; il figlio del giudice Saitta assassinato con il padre. E poi Barbara Asta e i suoi due figli uccisi in un attentato contro il giudice Carlo Palermo. Infine, Pietro Nava, rappresentante di porte di Sesto San Giovanni: assiste all’omicidio Levatino e testimonia. Oggi vive all’estero, sotto falso nome. Un libro di Pietro Calderone e un film con Fabrizio Bentivoglio ricordano la sua storia. Già questo semplice elenco da il quadro di quanto accaduto: 48 morti. Una strage! Un unicum nella storia d’Europa. Il libro non è solo questo: una lista di morti. E’, anche, o forse soprattutto, un lungo viaggio nella storia d’Italia: nei suoi angoli più bui e nascosti, dove di solito pochi si avventurano. E chi lo fa, talvolta, lo fa con sensazionalismo e scandalismo. Paride Leporace, invece, compie il suo viaggio con professionalità. Non cerca lo scoop: cerca di riannodare, con pazienza, i fili di una lunga scia di sangue. Individua le zone d’ombra, le complicità, le omissioni. In questa lungo viaggio la Calabria è presente. Oltre alle vittime calabresi c’è Bruno Caccia, Procuratore della Repubblica, assassinato dalla ‘ndrangheta a Torino. Ma ci sono anche coloro che hanno un legame con la nostra Regione. Emilio Santillo, Questore di Reggio durante la rivolta; il gen. Mino comandante dell’ Arma dei Carabinieri caduto con l’elicottero sul Monte Covello. C’è, inoltre, traccia del lungo rapporto che come calabresi e meridionali abbiamo avuto, abbiamo e, spero continueremo ad avere in futuro con lo Stato. Come leali e fedeli servitori delle Istituzioni anche a prezzo della vita. Penso anche ai tanti semplici lavoratori che quotidianamente compiono il proprio dovere nelle Istituzioni: senza assurgere agli onori della cronaca. E’ un’utile occasione per riflettere su quanto sia avventata la richiesta di meno Stato che talvolta proviene proprio da chi dallo Stato e nello Stato trae risorse e legittimazione. Anche perché, quando lo Stato, nelle sue varie forme, arretra: altri occupano il suo posto. Il libro si apre con la storia di Agostino Pianta, lucano, Procuratore della Repubblica di Brescia ucciso il 17 marzo del 1969 da Loris Guizzardi. Guizzardi era stato condannato per omicidio prima della guerra. Riteneva quella condanna ingiusta e voleva vendicarsi. Come? Uccidendo un magistrato: uno qualsiasi. Toccò ad Agostino Pianta, che aprì così la lunga serie dei magistrati assassinati. Guizzardi si presenta al Palazzo di Giustizia di Brescia e chiede del Procuratore Capo. L’usciere gli dice che c’è da aspettare e lui aspetta. Alla fine della mattinata il dott. Pianta sta per andare via, ha già preso cappotto e cappello, quando l’usciere gli ricorda quella persona in attesa. “Poveretto, quanto ha aspettato”. Ma appena dentro l’ufficio Guzzardi non dice nulla: spara. Pianta morirà poco dopo il ricovero in ospedale. Oggi il figlio Donato è giudice alla Corte d’Appello a Brescia; nel cortile del Palazzo di Giustizia un busto ricorda suo padre. L’ultimo magistrato del libro è Paolo Adinolfi, magistrato della Corte d’Appello di Roma. Adinolfi esce da casa il 2 luglio del 1994 e non fa più ritorno: come Ettore Maiorana e Paolo Caffè. Ha lavorato a lungo alla sezione fallimentare del Tribunale di Roma. Si è occupato di crack eccellenti con vorticosi giri di denaro. Poi incontriamo Luigi Daga, catanzarese. Figlio di un magistrato, decide di seguire la strada paterna. Dopo la laurea in giurisprudenza a Roma, un periodo in polizia come commissario e poi in magistratura. Daga è un intellettuale: uno studioso di temi penitenziari. Dirige l’Ufficio Studi e Ricerche del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Pubblica articoli su riviste scientifiche ed è spesso relatore a convegni scientifici internazionali. Alcune sue riflessioni sono ancora attuali. “La risposta detentiva va adottata solo per i casi gravi. Soluzioni alternative devono prendere il posto del carcere“. Un no al carcere come rimedio per tutti i mali. Nell’ottobre del 1993 Daga è a Il Cairo, per partecipare come relatore al VI Congresso dell’Associazione egiziana di Diritto Criminale che si svolge all’Hotel Semiramis. Ma il fuoco dell’eversione islamica cova sotto la cenere. Il paese dei Faraoni è strategico. Controlla il Canale di Suez: vena giugulare del traffico marittimo mondiale. Ha firmato la pace con Israele: Sadat sarà assassinato per questo. Colpire i turisti significa destabilizzare il paese. Mentre Luigi Daga nella hall conversa con altri relatori, un terrorista inizia a sparare contro gli stranieri che bevono alcolici. Daga è colpito alla testa da due pallottole ma è vivo. Le sue condizioni sono disperate: trasferito a Roma, morirà al San Filippo Neri dopo venti giorni d’agonia. Oggi, l’Istituto Sperimentale a Custodia Attenuata di Laureana di Borrello - una struttura all’avanguardia - porta il suo nome. Presso la Biblioteca Comunale Pietro De Nava c’è un libro di un Luigi Daga Per la festività della città di Reggio in onore di Maria del Consolo nella tornata dell’anno 1844. Non è ovviamente lui, ignoro se sia un suo avo. Poi c’è la lunga lista dei magistrati uccisi dal terrorismo durante gli anni di piombo. Francesco Coco, Procuratore Generale di Genova, primo magistrato vittima del terrorismo e delle Brigate Rosse. Vittorio Occorsio, PM romano ucciso da Pierluigi Concutelli: nome di battaglia Comandante Lillo. E’ ormai storia la sua foto mentre saluta romanamente dopo l’arresto. Concutelli è il comandante militare di Ordine Nuovo. Ha un ruolo di primo piano nella galassia eversiva di destra, con contatti anche con Guerin Serac dell’Aginter Press di Lisbona. Durante la detenzione commette due omicidi. Dopo 28 anni di carcere, inizia a lavorare all’esterno. Ma, trovato in possesso di una modica quantità di droga leggera, perde i benefici di legge. Il quotidiano di Rifondazione Comunista lo difende. Incontriamo Riccardo Palma, che si occupa di edilizia carceraria e Girolamo Tartaglione capo dell’Ufficio degli Affari Penali al Ministero di Grazia e Giustizia: assassinati dalle Brigate Rosse. Fedele Calvosa, Procuratore della Repubblica di Frosinone - nato a Castrovillari - assassinato dalla Formazioni Comuniste Combattenti. Con il suo omicidio, volevano compiere un salto di qualità: sarà la loro fine. Tra l’altro, un terrorista fu ucciso da altri terroristi. Emilio Alessandrini che scoprì la pista nera su Piazza Fontana. Assassinato da Prima Linea, perché – secondo i suoi assassini - dava credibilità allo Stato che si voleva abbattere. Stessa sorte per Guido Galli. Nicola Giacumbi, Procuratore della Repubblica di Salerno, ucciso per una sorta di prova di coraggio da un gruppo di sbandati, aspiranti terroristi. Girolamo Minervini rifiuta la scorta per non far massacrare inutilmente tre o quattro ragazzi. Sarà assassinato sull’autobus. Dirà il figlio: “Senza scorta e in autobus, andò a fare la sua parte, senza chiedersi se l’avessero fatta anche gli altri”. Di Mario Amato, PM romano vittima dei NAR, è rimasta nella memoria collettiva la fotografia con la sua scarpa bucata. Un’immagine impietosa che dava l’idea di uno stato a brandelli, incapace di reagire. Poi c’è il lungo, terribile elenco degli assassinati dalla criminalità organizzata: il cuore di tenebra della storia repubblicana. Se il terrorismo fu chiaro nella sua ferocia, pur con un corollario di ambiguità e misteri, ben diverse sono queste storie. Nell’immaginario collettivo è il fuoco a fare paura. Personalmente temo l’acqua. Il fuoco è terribile con le fiamme e il fumo: ma è visibile. L’acqua è più insidiosa: scorre silenziosa e sotterranea; scopre e utilizza ogni interstizio. Con i giudici uccisi dal crimine organizzato entriamo in una dimensione melmosa che Paride Leporace ben descrive con “equilibri paludosi”; “opaco contesto”; “nebulosa vicenda”. E’ Pietro Scaglione, Procuratore della Repubblica di Palermo, ad aprire questo triste elenco il 5 maggio del 1971. Anche allora non mancarono i veleni. Scaglione stava per essere trasferito a Lecce per via di alcune polemiche che avevano scosso gli ambienti giudiziari cittadini. Aveva allestito molti processi di mafia, alcuni poi condurranno al grande processo di Catanzaro. Già allora si assistette al consueto fiume di polemiche, accuse, critiche, indiscrezioni. Il risultato, in questi casi, è una gran confusione che intorbida le acque e allontana la verità. Altri magistrati avranno lo stesso destino. Francesco Ferlaino, Avvocato generale dello Stato di Catanzaro: assassinato con due colpi di lupara sotto casa in Corso Numistrano a Lamezia Terme. Cesare Terranova, già parlamentare del PCI per due legislature. Il processo per il suo omicidio si terrà a Reggio di Calabria. Gaetano Costa, partigiano in Val di Susa e Procuratore a Palermo. Gian Giacomo Ciaccio Montalto, assassinato a Trapani a colpi di Smiht & Wesson e mitraglietta. L’orologio della sua auto si bloccò all’una e dodici; l’allarme fu dato da un pastore alle sei e quarantacinque. Durante quelle ore nessuno si affacciò; nessuno si chiese cosa fosse successo. Montalto viveva solo, la moglie e le figlie vivevano altrove: morirà solo. La sua colpa? Era riuscito a mettere il naso nei forzieri del crimine: quell’enorme flusso di denaro frutto del traffico di droga. Rocco Chinnici vittima di un’auto bomba: in perfetto stile libanese. E un libanese sarà tra i primi indagati. Alberto Giacomelli, un anziano giudice, tranquillo e riservato, assassinato a Trapani, mentre infuriavano le polemiche per l’articolo di Sciascia sui professionisti dell’Antimafia. Un magistrato che alla domanda qual è il compito del giudice risponde: “Non è solo quello di applicare meccanicamente le regole del diritto, ma soprattutto di mediare le tensioni della società in cui vive”. Anche in questo caso piste vere e piste false; balordi e consueto giro di voci. Poi i nomi noti: Falcone, Morvillo e Borsellino. L’allora Presidente della Corte d’Appello di Palermo farà presente a Giovanni Falcone che il suo amore per Francesca Morvillo da scandalo. Da scandalo una storia d’amore sincera e riservata? Tra due persone accomunate da un percorso professionale prima, di vita poi e infine da un tragico destino di morte. Forse le pietre dello scandalo avrebbero dovuto essere altre. Francesca Morvillo subito dopo l’attentato, nonostante la gravità delle proprie ferite, chiederà notizie di Giovanni. Paride Leporace non pubblica un biglietto d’amore di Giovanni a Francesca. Non vuole violare una sfera intima che nulla aggiunge ai fatti. Un estremo, nobile gesto di rispetto. Dopo Falcone tocca a Borsellino. Dalla sua storia apprendiamo di un contatto tra Cosa Nostra e le Istituzioni. Addirittura sarebbe stato preparato un elenco di richieste: il papello. Ma i protagonisti negano. Qual è la verità? Da queste pagine affiorano altre storie. Bruno Contrada condannato per mafia ma difeso a spada tratta dalla moglie e dal figlio del giudice Costa, che continuano la battaglia antimafia. E poi altri uomini delle istituzioni assassinati: il capitano dei carabinieri Emanuele Basile, il capo della mobile palermitana Boris Giuliano, Ninni Cassarà, Beppe Montana, Pio La Torre, Guido Rossa …etc. etc. Rivediamo anche volti di potenti ormai inghiottiti dal tempo: Aristide Gunnella e Salvo Lima; Clelio Darida e Claudio Martelli. Sono lontanissimi, ormai coperti dalla polvere della storia. Potremmo dire, parafrasando un vecchio film western “Nessuna pietà per Ulzana”, sembrano niente: eppure furono qualcuno. Un libro, che come tutti i buoni, libri lascia ancora voglia di sapere e conoscere. O meglio ancora è una porta che si apre su realtà da svelare. Ma qual è l’elemento che accomuna questi magistrati assassinati? Oltre l’impegno, la fedeltà alle istituzioni, la professionalità. Essere soli. Ne parla Antonino Scopelliti. Non frequentare nessuno; non fidarsi di nessuno; isolarsi. E’ un pò morire. Ma oggi i giudici sono ancora soli?
Tonino NOCERA
"TOGHE ROSSO SANGUE" ORGANIZZATA DALLA FONDAZIONE ITALO FALCOMATA'
Quando Paride mi disse che stava scrivendo un libro sui magistrati assassinati, pensai immediatamente a Falcone e Borsellino. Tutti ricordano il loro sacrificio. Poi il mio pensiero andò ad Antonino Scopelliti, non solo perché reggino e ucciso in Calabria ma anche perché legato a un periodo ben preciso della mia vita. In quel torrido agosto del 1991, incontrai una persona che lo conosceva sin dai tempi dell’Università. Mi parlò di un giovante distinto e riservato; sempre in giacca e cravatta e con un paio di quotidiani sottobraccio. Un giovane, mi disse, che si notava. Poi altri nomi: Bruno Caccia, Vittorio Occorsio, Rocco Chinnici. Ma più frugavo nei meandri della memoria più trovavo il vuoto. Ignoravo o avevo dimenticato i tanti uomini caduti al servizio delle istituzioni. E che dire degli uomini della scorta? Già è brutto citarli così: non come singoli ma come componenti di un organismo più ampio, come se fossero privi di una loro peculiarità. Purtroppo ricordavo solo Lenin Mancuso e Manuela Loi. Anche qui un grande buco nero: che non aiuta. Non consente di comprendere quanto accaduto. Invito tutti a seguire il mio stesso percorso. Quali magistrati assassinati ricordate? Sono molti di più i dimenticati. Questo libro, quindi, copre un vuoto e restituisce al paese le storie di ventisei magistrati. E’ un libro da rileggere spesso e dovrebbe trovare posto nelle scuole. Ma i numeri non si fermano qui. E’ necessario aggiungere gli angeli custodi: diciassette appartenenti alle forze dell’ordine caduti mentre scortavano i magistrati. Dobbiamo, infine, ricordare coloro che furono coinvolti per caso. A volte sono definiti vittime innocenti: perché? Gli altri sono colpevoli? Sono il portiere della casa di Rocco Chinnici; il figlio del giudice Saitta assassinato con il padre. E poi Barbara Asta e i suoi due figli uccisi in un attentato contro il giudice Carlo Palermo. Infine, Pietro Nava, rappresentante di porte di Sesto San Giovanni: assiste all’omicidio Levatino e testimonia. Oggi vive all’estero, sotto falso nome. Un libro di Pietro Calderone e un film con Fabrizio Bentivoglio ricordano la sua storia. Già questo semplice elenco da il quadro di quanto accaduto: 48 morti. Una strage! Un unicum nella storia d’Europa. Il libro non è solo questo: una lista di morti. E’, anche, o forse soprattutto, un lungo viaggio nella storia d’Italia: nei suoi angoli più bui e nascosti, dove di solito pochi si avventurano. E chi lo fa, talvolta, lo fa con sensazionalismo e scandalismo. Paride Leporace, invece, compie il suo viaggio con professionalità. Non cerca lo scoop: cerca di riannodare, con pazienza, i fili di una lunga scia di sangue. Individua le zone d’ombra, le complicità, le omissioni. In questa lungo viaggio la Calabria è presente. Oltre alle vittime calabresi c’è Bruno Caccia, Procuratore della Repubblica, assassinato dalla ‘ndrangheta a Torino. Ma ci sono anche coloro che hanno un legame con la nostra Regione. Emilio Santillo, Questore di Reggio durante la rivolta; il gen. Mino comandante dell’ Arma dei Carabinieri caduto con l’elicottero sul Monte Covello. C’è, inoltre, traccia del lungo rapporto che come calabresi e meridionali abbiamo avuto, abbiamo e, spero continueremo ad avere in futuro con lo Stato. Come leali e fedeli servitori delle Istituzioni anche a prezzo della vita. Penso anche ai tanti semplici lavoratori che quotidianamente compiono il proprio dovere nelle Istituzioni: senza assurgere agli onori della cronaca. E’ un’utile occasione per riflettere su quanto sia avventata la richiesta di meno Stato che talvolta proviene proprio da chi dallo Stato e nello Stato trae risorse e legittimazione. Anche perché, quando lo Stato, nelle sue varie forme, arretra: altri occupano il suo posto. Il libro si apre con la storia di Agostino Pianta, lucano, Procuratore della Repubblica di Brescia ucciso il 17 marzo del 1969 da Loris Guizzardi. Guizzardi era stato condannato per omicidio prima della guerra. Riteneva quella condanna ingiusta e voleva vendicarsi. Come? Uccidendo un magistrato: uno qualsiasi. Toccò ad Agostino Pianta, che aprì così la lunga serie dei magistrati assassinati. Guizzardi si presenta al Palazzo di Giustizia di Brescia e chiede del Procuratore Capo. L’usciere gli dice che c’è da aspettare e lui aspetta. Alla fine della mattinata il dott. Pianta sta per andare via, ha già preso cappotto e cappello, quando l’usciere gli ricorda quella persona in attesa. “Poveretto, quanto ha aspettato”. Ma appena dentro l’ufficio Guzzardi non dice nulla: spara. Pianta morirà poco dopo il ricovero in ospedale. Oggi il figlio Donato è giudice alla Corte d’Appello a Brescia; nel cortile del Palazzo di Giustizia un busto ricorda suo padre. L’ultimo magistrato del libro è Paolo Adinolfi, magistrato della Corte d’Appello di Roma. Adinolfi esce da casa il 2 luglio del 1994 e non fa più ritorno: come Ettore Maiorana e Paolo Caffè. Ha lavorato a lungo alla sezione fallimentare del Tribunale di Roma. Si è occupato di crack eccellenti con vorticosi giri di denaro. Poi incontriamo Luigi Daga, catanzarese. Figlio di un magistrato, decide di seguire la strada paterna. Dopo la laurea in giurisprudenza a Roma, un periodo in polizia come commissario e poi in magistratura. Daga è un intellettuale: uno studioso di temi penitenziari. Dirige l’Ufficio Studi e Ricerche del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Pubblica articoli su riviste scientifiche ed è spesso relatore a convegni scientifici internazionali. Alcune sue riflessioni sono ancora attuali. “La risposta detentiva va adottata solo per i casi gravi. Soluzioni alternative devono prendere il posto del carcere“. Un no al carcere come rimedio per tutti i mali. Nell’ottobre del 1993 Daga è a Il Cairo, per partecipare come relatore al VI Congresso dell’Associazione egiziana di Diritto Criminale che si svolge all’Hotel Semiramis. Ma il fuoco dell’eversione islamica cova sotto la cenere. Il paese dei Faraoni è strategico. Controlla il Canale di Suez: vena giugulare del traffico marittimo mondiale. Ha firmato la pace con Israele: Sadat sarà assassinato per questo. Colpire i turisti significa destabilizzare il paese. Mentre Luigi Daga nella hall conversa con altri relatori, un terrorista inizia a sparare contro gli stranieri che bevono alcolici. Daga è colpito alla testa da due pallottole ma è vivo. Le sue condizioni sono disperate: trasferito a Roma, morirà al San Filippo Neri dopo venti giorni d’agonia. Oggi, l’Istituto Sperimentale a Custodia Attenuata di Laureana di Borrello - una struttura all’avanguardia - porta il suo nome. Presso la Biblioteca Comunale Pietro De Nava c’è un libro di un Luigi Daga Per la festività della città di Reggio in onore di Maria del Consolo nella tornata dell’anno 1844. Non è ovviamente lui, ignoro se sia un suo avo. Poi c’è la lunga lista dei magistrati uccisi dal terrorismo durante gli anni di piombo. Francesco Coco, Procuratore Generale di Genova, primo magistrato vittima del terrorismo e delle Brigate Rosse. Vittorio Occorsio, PM romano ucciso da Pierluigi Concutelli: nome di battaglia Comandante Lillo. E’ ormai storia la sua foto mentre saluta romanamente dopo l’arresto. Concutelli è il comandante militare di Ordine Nuovo. Ha un ruolo di primo piano nella galassia eversiva di destra, con contatti anche con Guerin Serac dell’Aginter Press di Lisbona. Durante la detenzione commette due omicidi. Dopo 28 anni di carcere, inizia a lavorare all’esterno. Ma, trovato in possesso di una modica quantità di droga leggera, perde i benefici di legge. Il quotidiano di Rifondazione Comunista lo difende. Incontriamo Riccardo Palma, che si occupa di edilizia carceraria e Girolamo Tartaglione capo dell’Ufficio degli Affari Penali al Ministero di Grazia e Giustizia: assassinati dalle Brigate Rosse. Fedele Calvosa, Procuratore della Repubblica di Frosinone - nato a Castrovillari - assassinato dalla Formazioni Comuniste Combattenti. Con il suo omicidio, volevano compiere un salto di qualità: sarà la loro fine. Tra l’altro, un terrorista fu ucciso da altri terroristi. Emilio Alessandrini che scoprì la pista nera su Piazza Fontana. Assassinato da Prima Linea, perché – secondo i suoi assassini - dava credibilità allo Stato che si voleva abbattere. Stessa sorte per Guido Galli. Nicola Giacumbi, Procuratore della Repubblica di Salerno, ucciso per una sorta di prova di coraggio da un gruppo di sbandati, aspiranti terroristi. Girolamo Minervini rifiuta la scorta per non far massacrare inutilmente tre o quattro ragazzi. Sarà assassinato sull’autobus. Dirà il figlio: “Senza scorta e in autobus, andò a fare la sua parte, senza chiedersi se l’avessero fatta anche gli altri”. Di Mario Amato, PM romano vittima dei NAR, è rimasta nella memoria collettiva la fotografia con la sua scarpa bucata. Un’immagine impietosa che dava l’idea di uno stato a brandelli, incapace di reagire. Poi c’è il lungo, terribile elenco degli assassinati dalla criminalità organizzata: il cuore di tenebra della storia repubblicana. Se il terrorismo fu chiaro nella sua ferocia, pur con un corollario di ambiguità e misteri, ben diverse sono queste storie. Nell’immaginario collettivo è il fuoco a fare paura. Personalmente temo l’acqua. Il fuoco è terribile con le fiamme e il fumo: ma è visibile. L’acqua è più insidiosa: scorre silenziosa e sotterranea; scopre e utilizza ogni interstizio. Con i giudici uccisi dal crimine organizzato entriamo in una dimensione melmosa che Paride Leporace ben descrive con “equilibri paludosi”; “opaco contesto”; “nebulosa vicenda”. E’ Pietro Scaglione, Procuratore della Repubblica di Palermo, ad aprire questo triste elenco il 5 maggio del 1971. Anche allora non mancarono i veleni. Scaglione stava per essere trasferito a Lecce per via di alcune polemiche che avevano scosso gli ambienti giudiziari cittadini. Aveva allestito molti processi di mafia, alcuni poi condurranno al grande processo di Catanzaro. Già allora si assistette al consueto fiume di polemiche, accuse, critiche, indiscrezioni. Il risultato, in questi casi, è una gran confusione che intorbida le acque e allontana la verità. Altri magistrati avranno lo stesso destino. Francesco Ferlaino, Avvocato generale dello Stato di Catanzaro: assassinato con due colpi di lupara sotto casa in Corso Numistrano a Lamezia Terme. Cesare Terranova, già parlamentare del PCI per due legislature. Il processo per il suo omicidio si terrà a Reggio di Calabria. Gaetano Costa, partigiano in Val di Susa e Procuratore a Palermo. Gian Giacomo Ciaccio Montalto, assassinato a Trapani a colpi di Smiht & Wesson e mitraglietta. L’orologio della sua auto si bloccò all’una e dodici; l’allarme fu dato da un pastore alle sei e quarantacinque. Durante quelle ore nessuno si affacciò; nessuno si chiese cosa fosse successo. Montalto viveva solo, la moglie e le figlie vivevano altrove: morirà solo. La sua colpa? Era riuscito a mettere il naso nei forzieri del crimine: quell’enorme flusso di denaro frutto del traffico di droga. Rocco Chinnici vittima di un’auto bomba: in perfetto stile libanese. E un libanese sarà tra i primi indagati. Alberto Giacomelli, un anziano giudice, tranquillo e riservato, assassinato a Trapani, mentre infuriavano le polemiche per l’articolo di Sciascia sui professionisti dell’Antimafia. Un magistrato che alla domanda qual è il compito del giudice risponde: “Non è solo quello di applicare meccanicamente le regole del diritto, ma soprattutto di mediare le tensioni della società in cui vive”. Anche in questo caso piste vere e piste false; balordi e consueto giro di voci. Poi i nomi noti: Falcone, Morvillo e Borsellino. L’allora Presidente della Corte d’Appello di Palermo farà presente a Giovanni Falcone che il suo amore per Francesca Morvillo da scandalo. Da scandalo una storia d’amore sincera e riservata? Tra due persone accomunate da un percorso professionale prima, di vita poi e infine da un tragico destino di morte. Forse le pietre dello scandalo avrebbero dovuto essere altre. Francesca Morvillo subito dopo l’attentato, nonostante la gravità delle proprie ferite, chiederà notizie di Giovanni. Paride Leporace non pubblica un biglietto d’amore di Giovanni a Francesca. Non vuole violare una sfera intima che nulla aggiunge ai fatti. Un estremo, nobile gesto di rispetto. Dopo Falcone tocca a Borsellino. Dalla sua storia apprendiamo di un contatto tra Cosa Nostra e le Istituzioni. Addirittura sarebbe stato preparato un elenco di richieste: il papello. Ma i protagonisti negano. Qual è la verità? Da queste pagine affiorano altre storie. Bruno Contrada condannato per mafia ma difeso a spada tratta dalla moglie e dal figlio del giudice Costa, che continuano la battaglia antimafia. E poi altri uomini delle istituzioni assassinati: il capitano dei carabinieri Emanuele Basile, il capo della mobile palermitana Boris Giuliano, Ninni Cassarà, Beppe Montana, Pio La Torre, Guido Rossa …etc. etc. Rivediamo anche volti di potenti ormai inghiottiti dal tempo: Aristide Gunnella e Salvo Lima; Clelio Darida e Claudio Martelli. Sono lontanissimi, ormai coperti dalla polvere della storia. Potremmo dire, parafrasando un vecchio film western “Nessuna pietà per Ulzana”, sembrano niente: eppure furono qualcuno. Un libro, che come tutti i buoni, libri lascia ancora voglia di sapere e conoscere. O meglio ancora è una porta che si apre su realtà da svelare. Ma qual è l’elemento che accomuna questi magistrati assassinati? Oltre l’impegno, la fedeltà alle istituzioni, la professionalità. Essere soli. Ne parla Antonino Scopelliti. Non frequentare nessuno; non fidarsi di nessuno; isolarsi. E’ un pò morire. Ma oggi i giudici sono ancora soli?
Tonino NOCERA
SDEROT
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Il Riformista Informazione che informa
28.05.2009 Vita quotidiana a Sderot
Uno dei principali bersagli di razzi dalla Striscia
Testata: Il Riformista
Data: 28 maggio 2009
Pagina: 11
Autore: Alessandra Cardinale
Titolo: «Vivere e (non) morire dove piovono i Qassam»
Riportiamo dal RIFORMISTA di oggi, 28/05/2009, a pag. 11, l'articolo di Alessandra Cardinale dal titolo "Vivere e (non) morire dove piovono i Qassam".
«Se sei per strada e senti una voce metallica che dice Tzevah Adom, Tzevah Adom, devi subito correre a nasconderti nel palazzo più vicino, può essere un negozio, una palestra non importa. Poi ti devi sedere per terra, lontano dalle finestre e mettere le mani sulla testa. Ricordati che per fare tutto questo hai solo 15 secondi, hai capito?».
Moshe si sforza di essere molto chiaro, gesticola con le mani e ogni tanto con l'indice si sistema gli occhiali da vista bene sul naso. «Quindi -dice - stai attenta e non metterti nei guai». Si gira di scatto e si allontana con lo zaino in spalla che a ogni passo saltella su e giù come i lunghi peot che gli arrivano quasi a sfiorare le spalle. Ha fretta perchè deve tornare a casa a fare i compiti. Moshe ha solo 11 anni ma parla e si muove come un adulto. A Sderot lo conoscono tutti perchè è il figlio di Sason Sara, il droghiere della città ma anche lo scrivano che si occupa tra un pacchetto di LM rosse e Parliament light di spedire al ministero dell'edilizia i reclami dei suoi concittadini stufi di aspettare la ricostruzione di palazzi e strade distrutte dai razzi Qassam che da otto anni Hamas lancia da Gaza.
La guerra, quella coperta dai media fino al 20 gennaio scorso, è finita. Quella reale però continua: ogni tre o quattro settimane parte un razzo diretto verso le aree di Sderot o Ashkelon, rispettivamente a uno e dieci chilometri dalla Striscia. Dalla fine di gennaio a oggi si contano solo feriti nessun morto «nessuno sa quando deve morire e come quindi inutile agitarsi».
Yafa Malka fa la parrucchiera «specializzata in tinture bionde». Anche lei, ovviamente, è bionda, truccatissima e con un neo sopra l'angola destro della bocca che la fa sembrare un'attrice americana degli anni '50. Dal ripostiglio urla di seguirla. «Vieni, ti faccio vedere dove mi nascondo quando scatta il codice rosso». È una stanza adibita a magazzino delle tinture e degli shampoo ma che all'occasione diventa un piccolo monolocale barra bunker. Nessuna finestra, che come spiegava il piccolo Moshe sono pericolose, due fornelletti elettrici, una sedia, un divano letto e un paio di ventilatori. «C'è l'essenziale per massimo un paio di giorni nei casi peggiori altrimenti ti consigliano di aspettare 5-10 minuti dall'allarme per riuscire». Nel negozio due signore aspettano impazienti di essere toccate dalle «magiche mani di Yafa» come dice una delle due che viene da Ashkelon per farsi bella «all'inizio avevo paura di guidare fino a qua ma voglio una vita normale o almeno faccio finta di averla. In verità a volte immagino i titoli dei giornali: cinquantenne uccisa da un razzo Qassam mentre andava dal parrucchiere» e scoppiano tutte a ridere. L'altra signora racconta che nella scuola della figlia che si trova poco distante dal negozio di Yafa alcune aule vengono impiegate come rifugio «il preside del liceo le ha volute colorare di azzurro in modo tale che siano riconoscibili dagli studenti che se allo scattare dell'allarme dovessero entrare in panico possono facilmente individuare la stanza giusta».
L'ultimo razzo è stato lanciato il 20 maggio scorso nei giorni in cui il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu era a Washington da Obama. «E non è un caso» spiega Nissim Peretz, il proprietario della casa colpita dal Qassam che ha fatto in tempo a rifugiarsi nella sua "security room". «Saremmo dovuti uscire dalla Striscia solo quando Hamas avesse smesso di lanciare razzi. Ora stiamo pagando gli errori di un governo la cui unica preoccupazione quattro mesi fa erano le elezioni». Nissim racconta anche delle lungaggini dell'esecutivo israeliano nel ricostruire alcuni dei 58 bunker statali che il governo ha messo a disposizione degli abitanti di Sderot ma che a conti fatti sono inagibili.
«Alcuni non hanno elettricità e acqua e in altri le tubature sono scoppiate provocando allagamenti. Quindi meglio costruirselo in caso sacrificando magari la cantina». Nissim non ha voluto aspettare l'intervento del governo per ricostruire la parte danneggiata della casa ma ha fatto da solo con l'aiuto di alcuni amici. La prima cosa che ha rimesso a posto è stata la Hamsa, la mano protettrice che si appende sulla porta di casa che in ebraico recita «nessun angoscia vivrà tra queste mura, nessuna paura passerà attraverso questa porta, nessun conflitto regnerà in questa dimora».
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Uno dei principali bersagli di razzi dalla Striscia
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Titolo: «Vivere e (non) morire dove piovono i Qassam»
Riportiamo dal RIFORMISTA di oggi, 28/05/2009, a pag. 11, l'articolo di Alessandra Cardinale dal titolo "Vivere e (non) morire dove piovono i Qassam".
«Se sei per strada e senti una voce metallica che dice Tzevah Adom, Tzevah Adom, devi subito correre a nasconderti nel palazzo più vicino, può essere un negozio, una palestra non importa. Poi ti devi sedere per terra, lontano dalle finestre e mettere le mani sulla testa. Ricordati che per fare tutto questo hai solo 15 secondi, hai capito?».
Moshe si sforza di essere molto chiaro, gesticola con le mani e ogni tanto con l'indice si sistema gli occhiali da vista bene sul naso. «Quindi -dice - stai attenta e non metterti nei guai». Si gira di scatto e si allontana con lo zaino in spalla che a ogni passo saltella su e giù come i lunghi peot che gli arrivano quasi a sfiorare le spalle. Ha fretta perchè deve tornare a casa a fare i compiti. Moshe ha solo 11 anni ma parla e si muove come un adulto. A Sderot lo conoscono tutti perchè è il figlio di Sason Sara, il droghiere della città ma anche lo scrivano che si occupa tra un pacchetto di LM rosse e Parliament light di spedire al ministero dell'edilizia i reclami dei suoi concittadini stufi di aspettare la ricostruzione di palazzi e strade distrutte dai razzi Qassam che da otto anni Hamas lancia da Gaza.
La guerra, quella coperta dai media fino al 20 gennaio scorso, è finita. Quella reale però continua: ogni tre o quattro settimane parte un razzo diretto verso le aree di Sderot o Ashkelon, rispettivamente a uno e dieci chilometri dalla Striscia. Dalla fine di gennaio a oggi si contano solo feriti nessun morto «nessuno sa quando deve morire e come quindi inutile agitarsi».
Yafa Malka fa la parrucchiera «specializzata in tinture bionde». Anche lei, ovviamente, è bionda, truccatissima e con un neo sopra l'angola destro della bocca che la fa sembrare un'attrice americana degli anni '50. Dal ripostiglio urla di seguirla. «Vieni, ti faccio vedere dove mi nascondo quando scatta il codice rosso». È una stanza adibita a magazzino delle tinture e degli shampoo ma che all'occasione diventa un piccolo monolocale barra bunker. Nessuna finestra, che come spiegava il piccolo Moshe sono pericolose, due fornelletti elettrici, una sedia, un divano letto e un paio di ventilatori. «C'è l'essenziale per massimo un paio di giorni nei casi peggiori altrimenti ti consigliano di aspettare 5-10 minuti dall'allarme per riuscire». Nel negozio due signore aspettano impazienti di essere toccate dalle «magiche mani di Yafa» come dice una delle due che viene da Ashkelon per farsi bella «all'inizio avevo paura di guidare fino a qua ma voglio una vita normale o almeno faccio finta di averla. In verità a volte immagino i titoli dei giornali: cinquantenne uccisa da un razzo Qassam mentre andava dal parrucchiere» e scoppiano tutte a ridere. L'altra signora racconta che nella scuola della figlia che si trova poco distante dal negozio di Yafa alcune aule vengono impiegate come rifugio «il preside del liceo le ha volute colorare di azzurro in modo tale che siano riconoscibili dagli studenti che se allo scattare dell'allarme dovessero entrare in panico possono facilmente individuare la stanza giusta».
L'ultimo razzo è stato lanciato il 20 maggio scorso nei giorni in cui il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu era a Washington da Obama. «E non è un caso» spiega Nissim Peretz, il proprietario della casa colpita dal Qassam che ha fatto in tempo a rifugiarsi nella sua "security room". «Saremmo dovuti uscire dalla Striscia solo quando Hamas avesse smesso di lanciare razzi. Ora stiamo pagando gli errori di un governo la cui unica preoccupazione quattro mesi fa erano le elezioni». Nissim racconta anche delle lungaggini dell'esecutivo israeliano nel ricostruire alcuni dei 58 bunker statali che il governo ha messo a disposizione degli abitanti di Sderot ma che a conti fatti sono inagibili.
«Alcuni non hanno elettricità e acqua e in altri le tubature sono scoppiate provocando allagamenti. Quindi meglio costruirselo in caso sacrificando magari la cantina». Nissim non ha voluto aspettare l'intervento del governo per ricostruire la parte danneggiata della casa ma ha fatto da solo con l'aiuto di alcuni amici. La prima cosa che ha rimesso a posto è stata la Hamsa, la mano protettrice che si appende sulla porta di casa che in ebraico recita «nessun angoscia vivrà tra queste mura, nessuna paura passerà attraverso questa porta, nessun conflitto regnerà in questa dimora».
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RELIGIONI A TAIWAN
Il Presidente Ma Ying-jeou ha ricevuto a Taipei una delegazione di musulmani di ritorno dal pellegrinaggio a La Mecca. Lo scrive l’ultimo numero della Newsletter dell’Ambasciata di Taiwan presso la Santa Sede. Il periodico pubblica anche una fotografia dell’evento.
A Taiwan – dove i musulmani sono circa l’0,3 per cento dei 23 milioni di cittadini – i fedeli di diverse religioni convivono in armonia.
Infatti, sullo stesso numero della Newsletter, leggiamo di un incontro interreligioso presso il Museo delle Religioni a Taipei - fondato nel 2001 dal monaco buddista Hsin Tao - e delle celebrazioni per il 150° anniversario della presenza dei Domenicani a Taiwan: il primo ordine religioso sbarcato sull’isola.
Tonino Nocera
A Taiwan – dove i musulmani sono circa l’0,3 per cento dei 23 milioni di cittadini – i fedeli di diverse religioni convivono in armonia.
Infatti, sullo stesso numero della Newsletter, leggiamo di un incontro interreligioso presso il Museo delle Religioni a Taipei - fondato nel 2001 dal monaco buddista Hsin Tao - e delle celebrazioni per il 150° anniversario della presenza dei Domenicani a Taiwan: il primo ordine religioso sbarcato sull’isola.
Tonino Nocera
mercoledì 20 maggio 2009
NUOVE DA TAIPEI
I roditori privi del gene Cisd2 invecchiano prima. La scoperta, del tutto casuale, è stata fatta da un gruppo di ricercatori guidati da Tsai Ting-fen, direttrice del Mouse Genetics Laboratory dell’Istituto di Scienza del Genoma dell’Università Yang-Ming di Taipei. La notizia è stata divulgata in Italia da www.dossiermedicina.it. Gli scienziati hanno verificato che in un topo privo del gene Cisd2 il pelo imbiancava, il peso calava e la massa muscolare e ossea si riduceva. Proprio come si verifica in un topo più vecchio. Il prossimo obiettivo è stabilire se un’alimentazione di sostanze antiossidanti rivitalizza il gene Cisd2.
Tonino Nocera
Tonino Nocera
VIETNAM OGGI
Il paese indocinese è oggi protagonista di una straordinaria crescita economica e l’Italia svolge un ruolo determinante. Lo scorso gennaio è stato inaugurato uno stabilimento per la produzione di motori elettrici a Ben Cat, nella provincia di Binh Duong, circa 50 km. da Ho Chi Minh City. La fabbrica appartiene alla Bonfiglioli Vietnam, il cui 75% è di proprietà della Bonfiglioli Riduttori. Anche la Piaggio dovrebbe realizzare uno stabilimento per la costruzione di Vespe. In Vietnam la vespa è il veicolo di locomozione più diffuso. Ma i rapporti tra il Bel Paese e il Vietnam non si esauriscono qui. I vietnamiti amanti del vino italiano hanno a disposizione un sito, realizzato dall’ICE, www.ruouvangy.com interamente dedicato ai nostri vini. Infine, grazie alla collaborazione tra la Camera di Commercio Italia-Vietnam e il Centro di Studi Vietnamiti di Torino è nato www.viet-it-affairs.com. Uno strumento in più per chi è interessato a conoscere meglio il paese asiatico.
Tonino Nocera
Tonino Nocera
venerdì 8 maggio 2009
ZUCCARELLO
Nome di battesimo: Mats Andrè; secondo cognome: Aasen; primo cognome: Zuccarello. E’ un attaccante della nazionale norvegese di hockey su ghiaccio. Il cognome tradisce le chiare origini italiane. Zuccarello è nato a Oslo il 1° settembre 1987. Il nonno proveniva da un paese siciliano tra Messina e Palermo di cui non ricorda il nome. Lo rivela lo stesso Zuccarello in un’intervista a www.hockeytime.net dove dichiara, tra l’altro, di non parlare italiano, per questo si è iscritto a un corso, e di voler visitare l’Italia. Il giovane è un’ala destra con tiro sinistro. Lo scorso novembre nell’Euro Ice Hockey Challenge a Oslo, l’Italia fu sconfitta 2 a 1 dalla Norvegia. Un goal fu realizzato da Zuccarello. Per vederlo all’opera sul ghiaccio: http://www.youtube.com/watch?v=WgZ_ctSrvZM&feature=related.
Tonino Nocera
Tonino Nocera
DELARA DARABI
DELARA DARABI
L’on. Angela Napoli (Popolo della Libertà) è il primo parlamentare ad aderire alla proposta di intitolare una piazza di Roma a Delara Darabi impiccata il 1° maggio in Iran. L’iniziativa è dell’Associazione Rifugiati Politici Iraniani in Italia che ha inviato una lettera al sindaco Alemanno. “Non ho parole” ha dichiarato l’on. Napoli ”per esprimere ciò che continuano a provocare in me l’odio e la vendetta del regime dei mullah. Anche io mi unisco al dolore della famiglia di Delara Darabi e a quello del sano popolo iraniano”. La ragazza è stata impiccata all’insaputa del suo avvocato e dei suoi familiari. La condanna a morte, prevista per il 20 aprile, era stata sospesa in seguito alle proteste internazionali. Poi il 1° maggio: il tragico epilogo. Speriamo che anche altri parlamentari calabresi seguano il suo esempio. In particolare sarebbe auspicabile ascoltare la voce dei candidati al Parlamento Europeo non solo su questa vicenda ma sul Medio Oriente. Aiuterebbe i cittadini a scegliere. Tempo fa, l’on. Francesco Nucara – segretario nazionale del Partito Repubblicano Italiano – visitò Sderot per esprimere la propria solidarietà ai cittadini di quella città israeliana, bersagliata dai missili lanciati da Gaza. E se in attesa della decisione di Alemanno, un sindaco calabrese intitolasse una piazza a Delara Darabi?
Tonino Nocera
L’on. Angela Napoli (Popolo della Libertà) è il primo parlamentare ad aderire alla proposta di intitolare una piazza di Roma a Delara Darabi impiccata il 1° maggio in Iran. L’iniziativa è dell’Associazione Rifugiati Politici Iraniani in Italia che ha inviato una lettera al sindaco Alemanno. “Non ho parole” ha dichiarato l’on. Napoli ”per esprimere ciò che continuano a provocare in me l’odio e la vendetta del regime dei mullah. Anche io mi unisco al dolore della famiglia di Delara Darabi e a quello del sano popolo iraniano”. La ragazza è stata impiccata all’insaputa del suo avvocato e dei suoi familiari. La condanna a morte, prevista per il 20 aprile, era stata sospesa in seguito alle proteste internazionali. Poi il 1° maggio: il tragico epilogo. Speriamo che anche altri parlamentari calabresi seguano il suo esempio. In particolare sarebbe auspicabile ascoltare la voce dei candidati al Parlamento Europeo non solo su questa vicenda ma sul Medio Oriente. Aiuterebbe i cittadini a scegliere. Tempo fa, l’on. Francesco Nucara – segretario nazionale del Partito Repubblicano Italiano – visitò Sderot per esprimere la propria solidarietà ai cittadini di quella città israeliana, bersagliata dai missili lanciati da Gaza. E se in attesa della decisione di Alemanno, un sindaco calabrese intitolasse una piazza a Delara Darabi?
Tonino Nocera
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