di generazione in generazione
Cronaca domestica degli Ancona dal XIV al XXI secolo
La fotografia sulla copertina – padre e figlio (Gabriele e Davide) che, per mano e con la kippah, vanno incontro alle tombe dei loro avi nel cimitero di Bozzolo - ben sintetizza il libro di Gabriele Ancona: di generazione in generazione. E’ la storia di una famiglia ebrea. Tutto comincia ad Ancona (da qui il nome della famiglia) dove nel 1370 circa nasce Joseph. Dalla città marchigiana le generazioni successive si spostano a Cremona, Livorno, Padova, Carrara, Rovigo (queste sono solo alcune delle città citate) per giungere a Milano, dove vive l’autore. Nei secoli un ramo della famiglia si stabilisce in Venezuela. Attraverso le loro vicende ripercorriamo la storia d’Italia. Dall’Emancipazione al Risorgimento; dalle Leggi Razziali alla Liberazione. Molti gli incontri interessanti. Uno fra tutti: Livio Ezio Ancona che trascorre gli ultimi anni presso una casa di riposo gestita da suore. Il suo funerale è celebrato da quattro sacerdoti. Il padre dell’autore lo definiva “un ebreo morto in odore di santità”. Apprendiamo anche che i bisnonni di Gabriele Ancona e della moglie si conoscevano: un fatto singolare. Tutto scorre: in un sapiente equilibrio tra pubblico e privato. Ma il libro non è solo questo. E’ anche un viaggio alla scoperta delle proprie tradizioni familiari che termina con la conversione di Gabriela Ancona all’ebraismo guidata da Bruno Di Porto e Rabbi Barbara Irit Aiello. Il volume non è in commercio e può essere richiesto all’autore gabriele.ancona@fastwebnet.it.
Tonino NOCERA
mercoledì 22 aprile 2009
MAZAL TOV
Tutte le volte che avvertiamo un malessere pensiamo sia un fenomeno passeggero. Se persiste, andiamo dal medico, facendoci coraggio e sperando che non sia nulla di grave: spesso è così. Talvolta, invece, il responso sanitario è durissimo. Come è accaduto a Luana Colletti. Tumore al seno disse il medico; una diagnosi che la colpì violentemente. Non capiva e non accettava: ma era impossibile cambiare il corso degli eventi. Era necessario affrontare il male a viso aperto: senza esitazioni e tentennamenti. Così Luana si fece forza e percorse - con coraggio e vigore – il sentiero della malattia. Durante il cammino avrebbe incontrato altri eventi infelici: non si piegò. Lottò senza sosta e senza esitazione. Alla fine della notte: la luce. L’alba di una nuova vita con la figlia Lidia e due cagnolini. Ma il percorso fu arduo. Per raggiungere la meta furono necessarie un’operazione bilaterale radicale e otto chemio. Oggi Luana è impegnata nell’associazione Chelidon (www.chelidononlus.it) che si occupa del sostegno psicologico alle donne e alla famiglia per le neoplasie al seno. Chelidon organizza gruppi di lavoro psicologico tra donne per elaborare la paura e il dolore del tumore. Svolge anche attività artistiche e seminari. Da quell’esperienza è nato un libro di poesie Aprendo spazi. Un titolo che fa pensare a una porta chiusa da troppo tempo che solo ora si apre. Come se quanto accaduto avesse svelato a Luana un mondo sconosciuto. Probabilmente è così. Il sottotitolo ho trovato il tempo di gustare ci fa pensare alle tante occasioni perdute. Quante volte non andiamo al cinema con i nostri figli perché c’è qualcosa di più importante (ma cosa?). Quante volte pensiamo di trascorrere un week-end con una persona cara; ma, invece di partire, valutiamo e aspettiamo finché tutto sfuma via. Come una nuvola che, spinta dal vento, si dissolve all’orizzonte. Il libro è dedicato alla figlia Lidia “allo splendore che già è, alla meravigliosa donna che sarà”. Nella prefazione Simonetta Brighi (che conosce da sempre Luana essendo stata sua insegnante) scrive che Luana è come in bilico tra una situazione di normalità e un oltre profondo e segreto. Questo ben si comprende leggendo i suoi versi che ci conducono verso sconosciuti mondi interiori. Le poesie di Luana ricordano gli acquerelli, forse grazie anche alla gradevole e particolare veste grafica. Uno stile tenue, leggero ma talvolta – all’improvviso – affiora la spatola. Come i gatti; simpatici animali ma che – ricordiamolo sempre - appartengono alla famiglia dei felini. I titoli sono refoli che, scuotendoci dal nostro torpore, ci riportano alla vita. La poesia più bella (almeno quello che prediligo) è Sola. “Sola come gli scogli davanti al mare in tempesta…” Scogli che però oppongono una strenua resistenza alle onde del mare che si infrangono con forza e vigore: inesorabilmente e senza tregua. Ma dopo l’impatto sulla roccia si disperdono in milioni di gocce d’acqua inoffensive. Eppure ci avevano intimoriti; come gli ostacoli che incontriamo nella vita. Dopo sembrano niente; eppure appena apparsi all’orizzonte, sembravano terribili. E Luana in Voglia di vivere ricorda: “se ci sono ostacoli che ho messo nella mia vita è per imparare a superarli; se talvolta sono alti e perché ho iniziato a saltare”. E poi si ricomincia, scalino dopo scalino, tenendo a mente quelli superati: sono la nostra forza e il nostro orgoglio. In Meditando riecheggiano echi cabalistici “All’improvviso ero nell’universo fuori – tutto – e l’universo subito dopo era in me – vasto e multiforme”. Ma vi è anche il mare interiore di Cambiamento ”Trema tutto intorno e nei miei abissi, il mare soffia dentro come tempesta,“ ma la speranza è che “possa io stanotte udirne lieve la musica tra le rocce e le acque dei sogni”. Sì Luana: il mare si è ormai placato e le sue onde sono solo un pallido ricordo della furia passata. Una brezza leggera le increspa e il sole dardeggia all’orizzonte. E tu, come un albatro, voli, tranquilla e serena, verso l’infinito. Mazal Tov.
Tonino Nocera
Tonino Nocera
LA SIGNORA DELLE LEONESSE
Shlomo Bunimovitz e Zvi Lederman - archeologi dell’Università di Tel Aviv - hanno scoperto, durante una campagna di scavi Tel Beth-Shemesh, una piastra di terracotta raffigurante una dea in abiti femminili. La figura rappresentata è abbigliata come i re e le divinità egizie e cananee. Però la capigliatura è femminile e le mani reggono fiori di loto, simboli femminili. Forse si tratta della Signora delle Leonesse, una regina nota perché nel 1350 a. C. inviò al Faraone d’Egitto due lettere con cui chiedeva aiuto contro gli invasori che erano penetrati nella regione. Le due lettere, scritte su tavolette d’argilla, furono rinvenute da alcuni contadini egiziani a El Amarna. Non si conosce su quale città regnasse, però qualche anno fa il prof. Nadav Naaman dell’Università di Tel Aviv ha ipotizzato che possa trattarsi di Beth Shemesh. Ma non vi sono prove a sostegno di questa teoria. La città fu distrutta con violenza e rapidità. Ciò è positivo per i ricercatori perché gli abitanti, non avendo avuto il tempo di scappare, non hanno portato nulla con sé. Questo consente agli studiosi di poter contare una gran quantità di materiale per le loro ricerche. Inoltre gli oggetti di lusso, sin qui rinvenuti, fanno pensare che la città fosse tra le più ricche e importanti della regione. Gli scavi, previsti per la prossima estate, potranno fornire risposte alle tante domande e ipotesi sin qui formulate.
Tonino NOCERA
Tonino NOCERA
martedì 21 aprile 2009
GINEVRA
Non mi indigna il delirio antisemita di Ahmadinejad: era prevedibile. Cosa ci si poteva aspettare? Invece, mi disgustano quei diplonatici che sono rimasti ad ascoltarlo o sono usciti per la pausa caffè. Avrebbero fatto meglio a non presentarsi, ma non reagire dopo quelle parole. Cosa pensano? Cosa sperano?
Ricordano quella scenetta di Totò: vediamo questo cretino dove vuole arrivare.
Tonino NOCERA
Ricordano quella scenetta di Totò: vediamo questo cretino dove vuole arrivare.
Tonino NOCERA
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