Nel 1483 Eliazar Parnas copiò con la mano sinistra il commento di Averroè agli Analytica posteriora di Aristotele nella traduzione arabo-ebraica di Yaaqov Anatoli.
Per ricordare questo amanuense ho deciso di intitolare a lui il mio blog.
Intanto leggete di seguito un mio articolo su Mario La Cava.
Shalom e a presto. Tonino Nocera.
Il 10 aprile 1961 si apriva a Gerusalemme il processo ad Adolf Eichmann e gli occhi del mondo erano su Israele. Il piccolo stato aveva appena dodici anni di vita ed era sopravissuto a due guerre che miravano a distruggerlo. Ma continuava ad esser circondato da stati ostili il cui obiettivo era sempre la sua eliminazione. Ciò nonostante era giunto il momento di assicurare alla giustizia i responsabili della Shoah. Così, Adolf Eichmann - uno dei maggiori carnefici nazisti - fu catturato a Buenos Aires e portato a Gerusalemme per essere processato. Tra i tanti giornalisti che seguivano le udienze c’era anche lo scrittore calabrese Mario La Cava, inviato del quotidiano Corriere Meridionale di Matera. La sua esperienza in Eretz Israel è oggetto del libro Viaggio in Israele, pubblicato nel 1967 dall’Editore Fazzi di Lucca e poi ristampato nel 1985 da Edizioni Brenner di Cosenza. Sono passati più di 40 anni, ma le riflessioni di La Cava - ancora valide e attuali - meritano di essere riproposte. Mario La Cava era nato a Bovalino, un paese in provincia di Reggio Calabria sulle sponde del Mar Jonio, dove visse senza quasi mai allontanarsi se si escludono gli studi liceali a Reggio e quelli universitari. Prima a Roma dove studiò medicina per due anni e infine a Siena dove conseguì la laurea in giurisprudenza. Ma vivere appartato in provincia non significa estraniarsi dal mondo e ignorare quanto accade. L’attenzione di La Cava verso il mondo è testimoniata non solo dal suo viaggio in Israele, ma anche dai suoi costanti e continui contatti con i maggiori scrittori italiani. Nella sua prefazione La Cava spiega le ragioni del viaggio e risponde alle critiche che già allora erano mosse a Israele: colpevole di avere vinto guerre che miravano a distruggerlo. Come se il fine delle guerre fosse quello di perderle e non vincerle. Però, per molti, quelle vittorie non dimostrano il valore dei vincitori ma la loro arroganza. La Cava sottolinea ed evidenzia, invece, i grandi e positivi cambiamenti che la nascita di Israele ha prodotto. A chi sostiene che gli israeliani siano i nuovi tedeschi; La Cava, contestando queste valutazioni, rammenta che Israele non ha mai festeggiato le vittorie e non ha mai sviluppato sentimenti nazionalistici. Ma come si svolse questo viaggio? Lo scrittore calabrese raggiunge Israele per nave e durante la navigazione incontra un singolare personaggio il dottor Toto C., medico che - dopo un fallimento matrimoniale - si trasferiva definitivamente in Israele, dove l’attendeva un nuovo amore. Un personaggio da romanzo che durante la sosta ad Atene fa perdere loro la nave. Ma il dottor C. tranquillizza La Cava comunicandogli di avere amici e parenti in Israele. Manca solo la consueta frase di tutti gli istrioni: “Non c’è problema”. I due sono costretti a prendere un aereo per Israele. Qui si presentano in casa di Alisa, la fidanzata del dottor C, la cui famiglia di ebrei iracheni accoglie Mario La Cava con molta ospitalità tanto che gli sembra di essere giunto sulle ali d’aquila come nelle antiche profezie. Finalmente il dottor C. incontra Sara la famosa cugina ricca (a suo dire) e qui La Cava ha una spiacevole sorpresa. Sara gli spiega che il dottor C. è un cugino di secondo grado del suo ex-marito e ignora che tipo sia. Presto La Cava si rende conto della vera natura del suo compagno di viaggio a metà strada tra il furfante e il chiacchierone. Infine Sara mette alla porta il dottor C. senza pietà: perché pietà in una situazione come quella significa debolezza. Continua, invece, ad ospitare lo scrittore calabrese, il quale vorrebbe rifiutare ma poiché tale ospitalità era così spontanea e generosa accetta. Inizia cosi la sua esperienza israeliana tra gente comune che vive quotidianamente la propria vita. Durante la sua permanenza in Israele sarà sempre ospite di famiglie e dormirà in albergo solo una notte. Con tutti coloro che incontra è costretto a narrare la sua brutta avventura e gli interlocutori si rammaricavano per i comportamenti che un ebreo aveva avuto nei suoi confronti, ma spiega La Cava “erano uomini soprattutto e sapevano contemplare ironicamente i misteri della natura umana” e aggiunge “pareva di trovarmi in mezzo ad amici di antica conoscenza”. E’ colpito dall’enorme quantità di alberi presenti in Israele, dall’acqua abbondante in un paese desertico e dalla pressoché assenza di campi abbandonati. Osserva come tra gli ebrei permane sempre un margine di dubbio e perplessità sulle opinioni altrui che consente all’altro di presentarle con tranquillità. Non c’è angolo di Eretz Israel che non visita: Tel Aviv, Askalon, il Neghev, Dimona, Gerusalemme, Beer Sheva. A Tel Aviv vede una poliziotta - a suo dire uscita dal Cantico dei Cantici - intenta a dirigere il traffico ma intenzionata non a elevare contravvenzioni ma ad ammonire e guidare. Più di tutte ricorda e ama Haifa, città del Mar Mediterraneo che sembra Napoli perchè come la città campana è piena di vita e salsedine. Nella zona bassa tutta vita e movimento e nella parte alta più residenziale e tranquilla come il Vomero. Haifa, inoltre, con le sue spiagge e il suo mare gli ricorda la Calabria. Poi finalmente La Cava incontra la ragione del suo viaggio: Adolf Eichmann. Il processo si svolgeva in un clima estremamente composto perché probabilmente il silenzio era la risposta più confacente alla tragedia della Shoah. Dopo aver preso posto tra i banchi della stampa lui, accreditato dal Corriere Meridionale il più piccolo ma non il meno degno, si trova di fronte Eichmann che ignora il pubblico. E’ agghiacciante, nella sua semplicità, la descrizione di Eichaman tutto preso dalle sue carte e dalle sue matite. Come un impiegato modello che tiene la scrivania in ordine, come se non fosse responsabile della morte di milioni di uomini. Come se la carta giusta avrebbe potuto salvarlo. Si! La carta giusta, protocollata in tempo e inserita nel faldone di competenza. La Cava precisa che, non avendo obblighi pressanti di corrispondenza rispetto agli altri giornalisti, si dedica a pensare molto ad Eichmann e a chi realmente fosse e quale pena meritasse. Osserva che le sue labbra non avevano mai sorriso ne pianto e si rende conto che l’incontro con Eichmann lo ha avvicinato agli abissi del male.
Tonino NOCERA
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1 commento:
Bellissimo articolo e blog assai interessante.
Continua così, Tonino.
Complimenti
Roberto
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